Donald Trump durante la conferenza stampa al termine degli spogli. Foto LaPresse

L'ondina blu non ferma Trump

Daniele Raineri

I democratici riconquistano la Camera, ma le star liberal non brillano (avevano sfide difficili). Il presidente celebra la tremendous vittoria, lancia minacce (non fate inchieste contro di me) e litiga con i giornalisti

New York. Oggi è arrivato il momento della verità per la cosiddetta “blue wave”, l’onda di piena democratica contro Trump di cui si parlava da molto tempo e con toni molto entusiasti. Non c’è stata. A questo giro gli elettori democratici sono stati l’otto per cento in più di quelli repubblicani, ma come si sa il sistema politico americano premia il voto degli stati e non direttamente quello degli elettori – del resto nel 2016 ci furono quasi tre milioni di voti in più per Hillary Clinton a livello nazionale e oggi il presidente è Donald Trump. Così il Partito repubblicano mantiene il controllo del Senato e – com’era previsto dai sondaggi – perde la Camera che è un fatto importante ma di sicuro non è eccezionale, anzi. Il sistema politico americano è disegnato esattamente per favorire questo risultato e per non lasciare troppo potere e troppo a lungo nelle mani del presidente. E’ la quarta volta di seguito che alle elezioni di metà mandato il controllo di almeno una delle due Camere del Congresso passa da un partito all’altro (per questo si tengono a metà mandato). Nel 2010 anche Barack Obama conservò il Senato e perse la Camera. Esattamente come Trump oggi. E aveva un indice di gradimento al 45 per cento, appena un punto in più di Trump oggi. Nessuno lo diede per spacciato e infatti fu rieletto. Nel 2014 a Obama andò ancora peggio, la correzione degli elettori fu durissima, perse sia la Camera sia il Senato. Insomma, oggi è successa una cosa normalissima della politica americana, con un presidente in carica che normalissimo non è. Nel frattempo Emmanuel Macron in Francia è diventato presidente nel maggio 2017 e oggi ha un indice di gradimento al 29 per cento: cosa dovrebbe fare, gettarsi dalla finestra dell’Eliseo?

    

L’Amministrazione Trump è arrivata alla Casa Bianca dopo aver perso il voto popolare nel 2016, in due anni è passata attraverso una serie di scandali che avrebbero azzoppato qualsiasi altro governo ed è uscita quasi indenne dal voto di metà mandato come tutte le altre Amministrazioni prima. In teoria, se lo sdegno degli elettori non trumpiani, gli scandali, gli errori, il comportamento infantile e le contraddizioni contassero davvero qualcosa l’indice di approvazione del presidente americano oggi dovrebbe essere attorno al 10 per cento, ma è chiaro che a decine di milioni di americani non importa nulla di quello che scrivono i giornali. Conta da che parte stai e non cosa fai. In Nevada alle elezioni locali per una contea a sud di Las Vegas ha vinto Dennis Hof, un proprietario di bordelli di 72 anni che prima era libertario e poi è diventato repubblicano e trumpiano convinto. Aveva anche scritto un libro intitolato “L’arte del magnaccia” che prende chiaramente ispirazione dalla biografia del presidente “L’arte del deal”. Inoltre Hof è morto stroncato da un infarto il mese scorso, ma non importa: gli elettori repubblicani hanno votato lo stesso il suo nome. Un altro repubblicano ora prenderà il suo posto. L’identità prevale sulle vicende personali.

   

Il conteggio finale per il Senato dice che quaranta milioni e mezzo di elettori hanno votato per i democratici contro i trentuno milioni e mezzo che hanno votato per i repubblicani e si tratta di una differenza impressionante. Di sicuro adesso l’opposizione a Trump ha un capitale politico robustissimo da usare e spendere nei prossimi due anni. Ma visti da vicino i numeri non sono così straordinari. Si votava per trentatré stati e ventidue di questi erano già in mano ai democratici – nel senso che all’ultimo giro avevano votato senatori democratici – il che vuol dire che contengono molti potenziali elettori democratici. Di questi ventidue, dieci alle ultime elezioni avevano votato per Trump e questo li teneva in bilico, ma resta il fatto che non era impossibile raccogliere milioni di voti democratici e che non tutta l’America è come quegli stati. E quindi sarebbe meglio non ricavare dal voto indicazioni assolute. Prendete il caso limite, la California, lo stato più popoloso del paese con quaranta milioni di abitanti: per il posto di senatore c’erano due candidati democratici e nessun repubblicano, e oggi tutti i milioni di votanti californiani sono contati come facenti parte dell’onda blu. Meglio andarci cauti.

   

Beto O’Rourke in Texas e Andrew Gillum in Florida hanno fatto due campagne elettorali seguitissime, si sono offerti agli elettori con un’intensità sovrumana, hanno raccolto una quantità enorme di fondi – Beto soprattutto – e hanno attirato l’interesse fortissimo dei media nazionali, ma alla fine non sono riusciti a sfondare. L’elettorato repubblicano ha votato Ron De Santis in Florida, che è un supertrumpiano, e Ted Cruz in Texas, che era uno che detestava Trump ma ha dovuto chiedere il suo aiuto per assicurarsi la vittoria. In Georgia la campagna elettorale di Stacey Abrams – una per cui è arrivata a fare campagna porta a porta anche Oprah Winfrey, la donna della televisione più amata del paese – non è riuscita a battere Brian Kemp. Lei rifiuta di dichiararsi battuta e chiede un voto di spareggio (è possibile se nessun candidato ottiene più del 50 per cento dei voti) il 4 dicembre.

   

Il fatto che i repubblicani abbiano perso il controllo della Camera rende i prossimi due anni molto interessanti. I democratici ora hanno il diritto di obbligare Trump a produrre prove e documenti che fino a oggi ha tenuto nascosti, per esempio la dichiarazione dei redditi che durante la campagna elettorale 2016 si rifiutò di mostrare. Fu un rifiuto molto strano che avrebbe potuto stroncare un altro candidato, ma ormai si è compreso: la nuova politica è questa qui, le regole sono cambiate, gli elettori possono decidere che un fatto non è rilevante e continuare a ignorarlo per sempre. A ottobre il New York Times ha pubblicato un’indagine di otto pagine sulle tasse di Trump dopo un anno di lavoro, e poi l’ha ristampata di nuovo, e nessuno ci ha fatto caso. E’ stata un flop. E intanto Trump minaccia già i democratici che promettono inchieste: “Vorrà dire che li denunceremo per fughe di notizie segrete. Questo è un gioco che si fa in due”. Poco dopo si è lanciato in un litigio senza precedenti in diretta tv con i giornalisti che gli facevano domande sulla campagna appena finita.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)