Perché la “carovana” umanitaria in Centroamerica fa male alla causa dei migranti
Duemila persone partite dall'Honduras chiedono di entrare negli Stati Uniti. Trump ha trasformato la questione in un tema elettorale potente
Negli ultimi giorni, circa 2.000 persone partite dall'Honduras, nell'America centrale, stanno marciando verso nord in una “carovana” con l'obiettivo dichiarato di immigrare negli Stati Uniti. Queste “carovane” sono un fenomeno tipico latinoamericano (ce ne fu una anche a marzo, che si disperse in Messico), e sono più marce di protesta che veri movimenti migratori. Tuttavia, la loro presenza crea un panico sconsiderato tra i media statunitensi: duemila latinos sono pronti all'invasione! Questo panico è spesso strumentalizzato in chiave politica, e in periodo di mid-term questo movimento nato con intenti tutto sommato umanitari sta ottenendo l'effetto contrario: avvantaggia gli impulsi anti immigrati e spesso xenofobi dell'elettorato del presidente Donald Trump, che non a caso negli ultimi giorni ha fatto della “carovana” un tema di politica nazionale.
Le duemila persone sono partite da San Pedro Sula, in Honduras, venerdì 12 ottobre: il giorno della scoperta dell'America. Erano all'inizio 160, ma presto le loro fila si sono ingrossate. “In Honduras non c'è lavoro e non c'è sicurezza”, la semplicissima motivazione. “Abbiamo fede che Dio ci aiuterà come quando aiutò il popolo di Israele a uscire dall'Egitto scampando al Faraone”, ha scritto su Facebook un simpatizzante dell'iniziativa. E un altro: “Geova guida e protegge Bartolo Fuentes così come fece con Mosè per liberare il suo popolo”.
Bartolo Fuentes è il leader dell'iniziativa. Giornalista, fu da 2013 al 2017 deputato in Honduras con il partito di Manuel Zelaya: il presidente liberale che durante il suo mandato si trasformò in un simpatizzante di Chávez. Come humus ideologico, siamo dalle parti del classico populismo di sinistra latino-americano. Ma un populismo che in centroamerica da una parte si ormai solidamente innervato col linguaggio e l'immaginario delle sette evangeliche.
Lunedì 15 ottobre i migranti hanno passato il confine col Guatemala, puntando verso il Messico e il confine con gli Stati Uniti. Martedì 16 Trump ha iniziato a preoccuparsi al punto da minacciare di tagliare gli aiuti all'Honduras se non avesse fermato la fiumana. Il vicepresidente Mike Pence ha fatto sapere di aver chiamato direttamente i presidenti Juan Orlando Hernández dell'Honduras e Jimmy Morales del Guatemala.
The United States has strongly informed the President of Honduras that if the large Caravan of people heading to the U.S. is not stopped and brought back to Honduras, no more money or aid will be given to Honduras, effective immediately!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 16 ottobre 2018
Spoke with Guatemalan President @jimmymoralesgt about caravan heading for the US & made clear our borders & sovereignty must be maintained. We expect our partners to do all they can to assist & appreciate their support. Reiterated @POTUS' message: no more aid if it’s not stopped!
— Vice President Mike Pence (@VP) 16 ottobre 2018
Il Guatemala ha risposto arrestando Fuentes e rispedendolo in patria. Ma i suoi seguaci hanno continuato la marcia. Secondo quanto aveva spiegato lunedì Fuentes alla Cnn, l'intenzione dei marciatori era quella di chiedere al Messico dei “visti umanitari”. L'ambasciata americana in Honduras ha avvertito sui rischi del viaggio e ha preannunciato che gli Stati Uniti avrebbero fatto valere le proprie leggi sull'immigrazione. Cioè, che i migranti sarebbero stato respinti in blocco al confine. Il governo del Messico ha a sua volta avvertito che fermerà coloro che non hanno i documenti in regola, il che però vuol dire che chi li ha potrà entrare indisturbato: stessa posizione già presa dal governo del Guatemala.
Cogliendo al balzo l'occasione, mercoledì 17 Trump è tornato sul tema: “E' difficile credere che, con migliaia di persone che stanno camminando senza ostacoli verso la frontiera sud, organizzati in grandi carovane, i democratici non vogliano approvare una legislazione che permetta leggi per la protezione del nostro paese. Questo è un grande tema di campagna elettorale per i repubblicani!”.
Hard to believe that with thousands of people from South of the Border, walking unimpeded toward our country in the form of large Caravans, that the Democrats won’t approve legislation that will allow laws for the protection of our country. Great Midterm issue for Republicans!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 17 ottobre 2018
Oggi (18 ottobre ndr) il presidente è tornato sulla questione e ha accusato il Partito democratico di “guidare l'assalto al nostro paese dal Guatemala, dall'Honduras e da El Salvador (perché loro vogliono frontiere aperte e vogliono mantenere le deboli leggi in vigore)”, ha detto che tra i migranti ci sono “MOLTI CRIMINALI” e ha aggiunto: “Oltre a bloccare gli aiuti a questi paesi, che sembrano non aver praticamente alcun controllo sulla loro popolazione, devo chiedere con estrema forza al Messico di bloccare questo assalto”, e se il Messico non sarà in grado di farlo Trump chiamerà l'esercito. Infine l'ultima minaccia: difendere i confini americani è più importante dell'accordo di libero scambio con Messico e Canada appena ratificato – come a dire: sono pronto a stralciare tutto.
I am watching the Democrat Party led (because they want Open Borders and existing weak laws) assault on our country by Guatemala, Honduras and El Salvador, whose leaders are doing little to stop this large flow of people, INCLUDING MANY CRIMINALS, from entering Mexico to U.S.....
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 18 ottobre 2018
Sono tutte minacce vuote e strumentali, anche perché, come già successo a marzo, con ogni probabilità i migranti hondureñi si disperderanno da qualche parte in territorio messicano – ma non prima di far ottenere a Trump qualche vittoria retorica e perfino elettorale sul tema dell'immigrazione. La marcia dei migranti avrà effetti diametralmente contrari a quelli sperati dai suoi organizzatori.
campagna elettorale americana
La dittatura delle bugie di Trump e i suoi amici
Guerra in Ucraina