Jean-Claude Juncker, Roberto Fico e Pierre Moscovici (elaborazione grafica Il Foglio)

La caccia (disperata) dell'Ue a un leader italiano pragmatico

David Carretta

L’Italia non è la Grecia ma le analogie si moltiplicano. Sarà davvero Roberto Fico l’interlocutore che riporterà M5S e Lega alla ragionevolezza?

Bruxelles. La Commissione europea è alla disperata ricerca di un Euclid Tsakalotos italiano nello scontro con il governo populista di Roma sulla manovra di bilancio per il 2019. Dopo aver confidato nelle “istituzioni italiane” e in particolare nel presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo aver riposto tutta la fiducia nel ministro dell’Economia Giovanni Tria, Jean-Claude Juncker e Pierre Moscovici pensano di aver individuato nel presidente della Camera, Roberto Fico, l’interlocutore che può riportare M5S e Lega alla ragionevolezza e spingere Luigi Di Maio e Matteo Salvini a un compromesso sul deficit. Nella sua due giorni brussellese, Fico è stato accolto “come un capo di governo”, spiega al Foglio una fonte comunitaria. Dopo l’incontro di lunedì, Moscovici ha benedetto Fico e il suo “apprezzabile discorso pro-europeo”, sottolineando che “più il clima è disteso, più il nostro dialogo può essere costruttivo”. Il faccia a faccia di ieri tra Fico e Juncker è stata un’occasione per “abbassare la temperatura”, ha spiegato il portavoce Margaritis Schinas: “Hanno avuto una discussione utile su questioni di comune interesse. Entrambi concordano che l’Italia è e continuerà a essere al cuore del progetto europeo”. Un altro portavoce della Commissione ha pubblicato una serie di foto dei due sorridenti e complici, con Juncker che prende sottobraccio Fico davanti a una bandiera europea.

   

L’Italia non è la Grecia, anche se lo spread tra i due paesi si sta riducendo sempre più (i rendimenti dei Btp decennali sono molto più vicini a quelli dei titoli greci che al resto della periferia della zona euro). Ma le analogie tra la crisi del primo semestre 2015 che portò Atene sull’orlo della Grexit e la potenziale crisi italiana del secondo semestre 2018 si moltiplicano. Tre anni e mezzo fa, quando Alexis Tsipras voleva abolire la troika e cancellare il memorandum, le istituzioni europee fecero di tutto per evitare una rottura. Il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, volò subito a Atene per incontrare Tsipras, mentre quello dell’Eurogruppo, Jeroen Disjsselbloem, si precipitò da Yanis Varoufakis per spiegare gli spazi di compromesso. Invano. Al primo Eurogruppo di febbraio, Varoufakis si presentò dando lezioni di economia e distribuendo in sala stampa documenti riservati su un accordo considerato inaccettabile. Durante i sei mesi successivi, la Commissione e l’Eurogruppo provarono più volte a puntare su altre personalità del governo greco: Yannis Dragasakis (il vicepremier di Tsipras), Euclid Tsakalotos (il vice di Varoufakis) e George Chouliarakis (in aprile diventato il caponegoziatore di Atene). Fu tutto inutile. Ogni volta che nelle riunioni tra tecnici si arrivava a un possibile compromesso, Tsakalotos e Chouliarakis venivano smentiti da Tsipras e Varoufakis.

     

Le cose sono andate allo stesso modo con l’Italia dal 1° giugno. La Commissione prima si è cullata nell’illusione che la presidenza della Repubblica e Bankitalia sarebbero state in grado di legare le mani al governo. Poi si è voluta convincere di un presunto europeismo del M5S, visto che gli europarlamentari grillini sembravano pronti a partecipare all’Europe En Marche di Emmanuel Macron. Successivamente si è messa nelle mani di Tria concedendogli di portare il deficit fino al 1,9 per cento, ma poi il ministro delle Finanze si è presentato all’Eurogruppo di inizio ottobre con il 2,4 per cento. Ora tocca a Fico che, sulla base di un’analisi superficiale della mappa politica italiana, è considerato un potenziale cavallo di Troia “progressista”. L’offerta sul tavolo: un deficit al 2 per cento, che è già oltre le regole. Ma, secondo alcune indiscrezioni, Fico avrebbe confermato che il governo tirerà dritto. In Grecia l’Ue fu costretta ad aspettare il referendum sul memorandum, la chiusura delle banche e la capitolazione di Tsipras prima di vedere Tsakalotos prendere il posto di Varoufakis.

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