Foto LaPresse

I segreti elettorali di Bolsonaro, il Trump brasiliano in grande ascesa

Maurizio Stefanini

La formula prevede: frasi controverse, molta sicurezza, attivismo su Whatsapp e un economista di Chicago come guru

Roma. Il “Trump brasiliano”, lo avevano soprannominato dopo che quello originale aveva iniziato la sua corsa verso la Casa Bianca. Ma lì per lì pareva più che altro una battuta. Invece Jair Bolsonaro sta davvero per diventare il presidente del Brasile. Non soltanto al primo turno delle elezioni – domenica 7 ottobre – appare nettamente in testa, ma ormai i sondaggi indicano che potrebbe farcela anche al ballottaggio. Lui, galvanizzato, ora sta incitando i suoi seguaci a “lavorare un pochino di più perché possiamo farcela al primo turno”.

 

La campagna elettorale di Bolsonaro è fatta per animare gli elettori (con toni accesi e dichiarazioni forti), ma al contempo per calmare gli investitori (e il mondo del business pare solidale). Il delfino di Lula, Haddad, rincorre, mentre i candidati moderati chiedono unità però precipitano

Jair Bolsonaro nasce nel 1955, in una cittadina dello stato di San Paolo, da genitori di origine italiana. In Accademia a 19 anni, è capitano dei paracadutisti quando nel 1988 è cacciato dall’esercito, dopo essere stato anche in carcere. Protestando contro gli stipendi troppo bassi si è infatti messo prima a scrivere articoli sulla rivista Veja, in flagrante violazione della disciplina militare; poi a minacciare di far scoppiare bombe a basso potenziale nei gabinetti delle caserme. Ma nel 1985 è finito il regime militare, e raccogliendo un voto nostalgico nel 1988 è eletto consigliere comunale a Rio de Janeiro; dal 1990 è deputato. Nel 2014 è stato il più votato di Rio de Janeiro, con 464.572 voti. In diciotto anni ha cambiato nove partiti: l’ultimo è il Partito social-liberale. Altrettanto accidentato è il percorso spirituale di Bolsonaro: tuttora dice di essere cattolico, ma ha cresciuto i suoi figli come battisti, e ha celebrato il suo terzo matrimonio con rito pentecostale. Ma con le sette protestanti in grande ascesa anche questo pedigree gli fa gioco. E quanto all’insalata di sigle della politica brasiliana, le etichette contano meno delle sue prese di posizione.

 

Nel 2015 Bolsonaro augura a Dilma Rousseff di morire “di infarto o cancro”. Il suo voto all’impeachment della stessa Dilma lo dedica alla memoria di Carlos Alberto Brilhante Ustra, il generale appena defunto che aveva diretto le torture alla futura presidentessa quando lei era prigioniera come guerrigliera. Vuole la pena di morte, la castrazione chimica per gli stupratori, la tortura per i narcos, il diritto dei proprietari di usare il fucile contro le invasioni dei Senza Terra, i militari a dirigere le scuole pubbliche. Una volta alla Camera ha detto a una collega deputata: “Non sei degna di essere stuprata!”. Un’altra volta in un’intervista ha spiegato che, se avesse un figlio omosessuale, vorrebbe “che morisse in un incidente”.

 

Il suo candidato alla vicepresidenza è il generale in pensione Antônio Hamilton Mourão: già comandante del contingente di peacekeeping ad Haiti, ha detto che se i magistrati non riescono a ripulire la politica dovrebbero intervenire i militari. Secondo lui, è previsto nella Costituzione del 1988. Ma il suo ministro delle Finanze in pectore è Paulo Guedes: banchiere ed economista con Ph.D. a Chicago e visioni economiche ortodosse. Insomma, tanto la campagna di Bolsonaro è fatta per agitare gli elettori, tanto il profilo del suo guru economico è invece fatto per calmare gli investitori.

 

La nube dell’Operazione “Lava Jato”

All’inizio Bolsonaro non arrivava al 10 per cento delle intenzioni di voto. Ma la Tangentopoli brasiliana, dopo aver deposto Dilma Rousseff e aver mandato in galera Lula, investe i partiti centristi al governo con Michel Temer ed esaspera gli elettori. I politologi spiegano che, a differenza di Trump, Bolsonaro non ha soldi. Che in Brasile non c’è un bipartitismo ferreo come negli Stati Uniti, e il partitino di Bolsonaro dispone unicamente di una manciata di secondi negli spazi televisivi. Che comunque al ballottaggio centro e sinistra gli farebbero blocco contro. Ma come Trump ha sconvolto le regole del gioco a colpi di tweet, Bolsonaro ha dalla sua Whatsapp, usata dai tre quinti dei brasiliani, e su cui i suoi seguaci imperversano.

 

Poi, il 6 settembre, un quarantenne che sulla sua pagina Facebook inneggia a Maduro e Lula gli dà una coltellata. Bolsonaro deve sospendere la campagna, ma l’effetto è più potente di mille comizi. Dal 22 per cento delle intenzioni di voto salta al 26, al 28, al 32, contro il 21-22 per cento appena di Fernando Haddad: colui che il Partito dei lavoratori (Pt) ha con molto ritardo prescelto, quando i magistrati hanno infine detto definitivamente no alla candidatura di Lula dal carcere (adesso allo stesso Lula hanno vietato di rilasciare interviste “per non alterare il risultato”. Intanto Sérgio Moro, il “Di Pietro brasiliano”, continua a far filtrare notizie sulla Operazione “Lava Jato”, che il risultato lo alterano eccome).

 

L’altro candidato di sinistra, Ciro Gomes, sta appena all’11 per cento; il centrista Geraldo Alckmin all’8; la terzista Marina Silva è crollata al 3. L’ex presidente Fernando Henrique Cardoso invoca l’unità dei moderati; all’ultimo dibattito televisivo tutti i moderati hanno messo gli elettori in guardia contro la paradossale polarizzazione contro i due candidati che suscitano più rifiuto e hanno sottolineato che, se Bolsonaro è un nostalgico del regime militare, Haddad una volta eletto grazierebbe subito Lula. Haddad risponde che proprio sparando su di lui fanno il gioco di Bolsonaro, cui consiglia di “andare da uno psichiatra”. Il Pt lo ha scelto come un moderato in grado di riconquistare il voto della classe media orripilata dalla corruzione, e Haddad ci si è messo di impegno. Ha preso le distanze da Maduro, pur dicendo che anche in Brasile l’arresto di Lula è un vulnus alla democrazia. Ha ricordato che il moderato presidente argentino Mauricio Macri è un suo grande amico, dai tempi in cui si frequentavano come sindaci di San Paolo e Buenos Aires. Promette che non darà a Lula un indulto. Però continua a visitarlo in carcere. Avverte che Bolsonaro danneggerebbe i neri, le donne, i poveri, gli abitanti del nord-est: proprio i settori tra nei sondaggi Bolsonaro sta iniziando a sfondare.

 

Vari esponenti centristi stanno ormai saltando il fosso per accostarsi a Bolsonaro, e un endorsement su Bolsonaro di importanti imprenditori ha fatto rialzare la Borsa del 3,78. Anche il dollaro, a settembre a livelli record sul real, ha perso il 2,51.

Di più su questi argomenti: