La Francia dell'antirazzismo razzista che grida: “Fanculo i bianchi”

Giulio Meotti

Rapper, campi estivi, feste, università: è l’assimilazione francese fallita il cuore ardente di quest’odio per l’occidente. 

Roma. Nel 2005, durante le rivolte di Parigi, varie personalità sia di destra sia di sinistra - Alain Finkielkraut, Jacques Julliard, Pierre-André Taguieff, Bernard Kouchner - firmarono una petizione contro gli “attacchi razzisti anti-bianchi”. Non portò bene ai firmatari. Sette anni dopo, Jean-François Copé, sfidante alla leadership dell’allora Ump, disse che c’era “un razzismo anti-bianco che si sviluppa nei quartieri delle nostre città fomentato da chi ha la nazionalità francese ma che è di religione diversa da quella cattolica e magari ha il colore della pelle diverso”. Ovviamente anche Copé venne crocifisso dalla sinistra, come se anche solo evocare un razzismo anti-bianco portasse acqua al mulino del lepenismo della “fasciosfera”, come ora va di moda definirla a sinistra. Claude Bartolone, socialista presidente dell’Assemblea nazionale, disse che quello di Copé era uno “slogan divisivo” che metteva in crisi il famoso “vivere insieme” repubblicano.

 

Ma da allora si è davvero levato un grande pezzo di Francia che grida: “Morte ai bianchi”. Sulle pareti dell’Università Paris 8 quest’odio è dilagante, impudente: “Fanculo i bianchi”, “morte ai bianchi”, “sono troppo bianco”. Si invoca l’odio razziale, mentre nelle aule si susseguono lezioni sull’“etnicidio” e seminari “riservati ai decolonizzati”, interdetti ai bianchi. E in tutto il paese, da un paio di anni, ci sono pure i “campi estivi decoloniali”. Il primo fu a Reims, un “campo estivo riservato unicamente alle persone che subiscono a titolo personale il razzismo di stato francese”. Lo scorso luglio alla prestigiosa Scuola di Studi Avanzati nelle scienze sociali (Ehess) c’è stato un workshop dedicato alla “condizione bianca”, intrinsicamente oppressiva. E l’estate scorsa a Parigi c’è stato il Nyansapo Fest. Una “festa femminista-africano-europea” con tanto di “spazio riservato ai neri”.

 

Il rapper Nick Conrad, idolo dei giovani, è adesso indagato per incitamento all’odio, dopo aver scritto in una canzone: “Entrate in un asilo, uccidete i bebé bianchi e impiccate i loro genitori”. Per la storica Barbara Lefebvre si tratta di “un breviario di odio che permea una parte significativa della cosiddetta gioventù ‘razzializzata’”.

 

È l’assimilazione francese fallita il cuore ardente di quest’odio. E Conrad non è certo il primo rapper. Il gruppo Ministére A.M.E.R incitò due anni fa all“eliminazione sistematica” degli agenti di polizia , i bianchi oppressori (tanti, in effetti, sono caduti in questi anni di terrorismo e banditismo). Il rapper Médine Zaouiche, che doveva suonare al Bataclan, ha scritto di voler “crocefiggere i laici”. Una parte della gauche e i gruppi indigenisti, che ruotano attorno alla France Insoumis di estrema sinistra, cercano di sostituire la lotta di classe con la lotta razziale, come se l’antirazzismo fosse diventato un alibi per l’odio anti-bianco.

 

L’antirazzismo razzista è il nuovo ossimoro che sono riusciti a forgiare e imporre. Come se l’oscena chiamata alla violenza razzista diventasse anti-razzismo o, addirittura, legittima rivolta contro la discriminazione. Così, quando lo storico francese Olivier Petre-Grenouilleau ricorda in un libro che il commercio di schiavi non fu soltanto occidentale, ma che fu anche africano e musulmano, venne liquidato immediatamente come un razzista bianco e gli fecero pure causa. Si è così arrivati all’equivalenza fatale fra razzismo e “islamofobia”, garantendo all’islam una speciale immunità. Come ha detto ieri la storica Lefebvre al Figaro, “l’odio anti-ebraico è diventato inseparabile dall’odio anti-bianco, che in realtà è l’odio anti-occidentale”. E se l’odio anti-bianco non fosse nient’altro che l’odio per il francese? Sale Blanc, sale Français, dicono quei giovani delle banlieue perdute. Sporco bianco, sporco francese. E poi sale Juif. Sporco ebreo. Perché in questo vomito etnicista, l’ebreo non è altro che un bianco al quadrato. E Israele, da melting pot per eccellenza, diventa uno stato bianco, colonialista e suprematista, una scoria occidentalista in un medio oriente che deve, per vocazione, restare scuro e islamico.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.