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In Svezia il multiculturalismo si è trasformato in una war zone. L'utopia in crisi

Giulio Meotti

Omicidi, violenze sessuali, sparatorie, bombe a mano, aree dove neppure le ambulanze entrano. Un modello di integrazione sotto assedio

Roma. Il 30 agosto la Svezia ha ospitato il primo festival musicale al mondo “per sole donne”. L’ingresso a Göteborg era proibito agli uomini. Una “safe zone” riservata a donne, trans e persone “non binarie”. L’idea era venuta un anno fa alla comica Emma Knyckare, dopo che il festival di Bravalla era terminato con numerose denunce di violenze sessuali. E molti di quei casi avevano coinvolto dei rifugiati. Adesso la Svezia si prepara alle “più importanti elezioni della storia”, come scrive enfaticamente il Financial Times, e il “concerto per sole donne” illustra bene la crisi di quella “superpotenza morale”, come la definisce il New York Times. In questi anni, la Svezia è andata fiera del suo profilo umanitario, essendo il paese che percentualmente ha accolto più migranti e speso di più per loro in rapporto al pil. Per la prima volta dal 1917, il Partito socialdemocratico, che ha formato governi in 80 dei 101 anni dall’introduzione della democrazia, rischia di essere scalzato. Ma l’attuale crisi non è soltanto politica, con l’ascesa dei Democratici svedesi, destra pesante. E’ soprattutto una crisi di identità. “La Svezia sta diventando come il resto dell’Europa”, ha detto malinconico l’ex primo ministro Carl Bildt.

 

In un paese di dieci milioni di abitanti, nel 2017 ci sono state 320 sparatorie e dozzine di assalti con granate, con 110 omicidi e 7,226 stupri, un aumento del dieci per cento rispetto al 2016 (molotov sono state lanciate anche contro le sinagoghe). Come riporta il Times, il 36 per cento delle donne svedesi ammette di non sentirsi al sicuro di notte. Il crimine aumenta nelle “aree di esclusione sociale”, che alcuni chiamano “no-go”. Per ammissione della polizia, ce ne sono 55. Fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile la recente headline della Bbc: “Il problema della Svezia con le bombe a mano”. A Malmö, dove un quinto della popolazione di 340 mila persone è minorenne, per strada girano gang armate, la cui stragrande maggioranza è di origine immigrata. “Abbiamo toccato il fondo: la gente usa mitragliatrici e bombe a mano, vogliono uccidere”, ha detto Zoran Markovic, l’ex capo della polizia a Rosengard, dove la nuova stazione di polizia è stata fortificata. Il vecchio edificio era stato crivellato in una sparatoria. La situazione è drasticamente peggiorata negli ultimi due anni. La scuola principale di Rosengard, che ha alunni di duecento etnie, è stata chiusa a causa della tensione sociale. Rinkeby, a venti minuti dal centro di Stoccolma, è una delle zone più colpite dalla criminalità. I paramedici e i pompieri chiedono la scorta della polizia per operare là. Al calare della sera, le bande dominano le strade, tanto che il magistrato incaricato di sconfiggere il crimine organizzato, Lise Tamm, ha definito Rinkeby una war zone.

 

Eppure, in Svezia è un tabù stabilire un collegamento tra immigrati e criminalità, secondo Tino Sanandaji, l’economista svedese di origine iranico-curda che ha scritto “Mass Challenge”, best seller su come il paese non è riuscito ad integrare i nuovi arrivati. La critica dell’immigrazione è stata prerogativa della destra per così tanto tempo che il libro di Sanandaji è stato inserito nella lista nera di alcune biblioteche pubbliche, nonostante le lodi degli esperti. “Gli attacchi avrebbero terminato la mia carriera se fossi stato uno svedese bianco etnico”, ha detto l’economista. I numeri di Sanandaji sono impressionanti: il 58 per cento del welfare va agli immigrati; il 45 per cento dei bambini con bassi punteggi a scuola sono immigrati; gli immigrati guadagnano il 40 per cento in meno degli svedesi; la maggior parte delle persone accusate di omicidio, stupro e rapina sono immigrati di prima o seconda generazione e “la Svezia ha il maggiore aumento delle disuguaglianze di qualsiasi paese dell’Ocse”.

 

Paulina Neuding, una giornalista svedese di fama internazionale, è stata accusata di xenofobia per aver collegato l’aumento dei crimini antisemiti e sessuali alla migrazione di massa. Neuding, nata da una famiglia ebrea emigrata dalla Polonia comunista al tempo delle persecuzioni, ha detto che la Svezia sta vivendo una “crisi di violenza sessuale”.

 

“La Svezia è passata dall’essere un paese a bassa criminalità ad avere tassi di omicidi significativamente superiori alla media dell’Europa occidentale” ha scritto Neuding su Politico. “I disordini sociali, le auto bruciate, gli attacchi ai soccorritori e i disordini, sono un fenomeno ricorrente. Le sparatorie nel paese sono diventate così comuni che non fanno più titolo, a meno che non siano spettacolari o abbiano delle vittime. Le notizie sugli attacchi vengono velocemente sostituite con titoli su eventi sportivi e celebrità, poiché i lettori sono diventati desensibilizzati alla violenza”. Sanandaji ha ben sintetizzato la fine di quella utopia: “La Svezia ha avuto successo ad abolire la tradizionale società per classe, ma i politici stanno creando una sottoclasse etnica”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.