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Dal G8 al G6+1

Trump fa collassare il G7, evoca Putin e trova l'appoggio di Conte

Dazi e bordate transatlantiche chiudono la luna di miele con Macron. Paletti ed esperimenti di “atlantismo sovranista”. L’asse russo-cinese

New York. Prima di partire per il G7 dimezzato del Québec, che con sgarbo non trascurabile ha abbandonato anzitempo questa mattina, Donald Trump ha proposto di reintegrare la Russia nel consesso, una delle poche cose che avrebbero potuto peggiorare il già pessimo clima fra alleati: “Che piaccia o no, e potrebbe non essere politicamente corretto, abbiamo un mondo da governare e il G7, che era il G8, ha cacciato la Russia, ma potrebbe riportarla dentro, perché dovremmo averla al tavolo delle trattative”. Fedele a una logica dei rapporti di potere di tipo realista, la stessa che lo porta a incontrare senza paletti prefissati Kim Jong-un, Trump non ha citato le condizioni di un eventuale reintegro – la Russia è stata estromessa dopo l’annessione della Crimea nel 2014 – ma ha lasciato intendere che Mosca va coinvolta in quanto potenza in grado di determinare gli eventi globali, a prescindere dalle violazioni del diritto internazionale. Giuseppe Conte è stato lesto ad abbracciare l’idea di un reintegro russo (“E’ nell’interesse di tutti”, ha twittato), cosa che ha fatto subito gridare alla svolta gialloverde della politica estera italiana, anche se la posizione che riecheggia è quella tenuta dal governo di Gentiloni ed espressa lo scorso anno dal ministro degli Esteri, Angelino Alfano: la speranza, aveva detto a New York, “è che il prossimo meeting possa essere di nuovo un G8”. L’apertura verso la Russia è parte della postura dell’esecutivo italiano da prima dell’insediamento di questo governo, ma Conte, alla sua prima uscita internazionale, ha approfittato dell’uscita di Trump per saldare un’inedita alleanza sovranista con la superpotenza che nei consessi globali dovrebbe rappresentare l’ordine liberale, e invece lo prende a bastonate fra dazi verso gli alleati e accordi internazionali stracciati (primo fra tutti il deal nucleare con l’Iran), creando quello che Emmanuel Macron ha definito “un mondo della legge del più forte”. Il governo italiano, che le affinità putiniane ce le ha impresse nel codice genetico, ha stabilito così un paradossale atlantismo a trazione nazionalista, con l’ulteriore complicazione di sostenere una posizione in sé politicamente non inedita né illegittima, ma da posizioni populiste. Il cortocircuito fra idee giuste ed esecutori sbagliati è una delle croci di questa epoca antisistema.

 

Il presidente del liberale Council on Foreign Relations, Richard Haas, ha scritto che “l’idea di riammettere la Russia non è sbagliata di principio”, ma occorre stabilire a quali condizioni: “Un ottimo argomento per il summit del Québec sarebbe fissare i termini e le condizioni”. Ma il summit del Québec è collassato prima ancora di cominciare. I dazi che Trump ha imposto agli alleati hanno completamente cambiato il tono di un summit che Trudeau aveva immaginato tutto incentrato sui diritti lgbt e il clima, la guerra su Twitter fra Trump e Macron, che con tono minaccioso ha ricordato che le sei potenze rimanenti rappresentano un mercato più ampio di quello americano, ha chiuso informalmente la luna di miele fra i due leader, e l’ufficialità è arrivata con l’annullamento dell’incontro bilaterale di ieri mattina. Il G7 è diventato così un G6+1, con l’Italia in un’ambigua posizione trasversale, un formato che ha come effetto più sicuro quello di aumentare il potere della Cina, come osservava un’analisi del Financial Times qualche giorno fa. Dov’era Vladimir Putin mentre Trump invocava il suo coinvolgimento? A Pechino per discutere di Corea e Iran con Xi Jinping, partner di un’alleanza “matura, solida e stabile”.

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