Justin Trudeau (foto LaPresse)

La foto ricordo del G7 rischia di finire nel cassetto degli amori falliti

Paola Peduzzi

Venerdì si apre il vertice in Canada. Trudeau ostenta sorrisi, ma non sa ancora su che cosa puntare per dare un senso a questo incontro

C’era un volta la tavola apparecchiata per otto, poi i coperti sono scesi a sette, ora non si sa più se gli invitati riusciranno a tollerare di stare assieme per tutta una cena. Venerdì si apre il G7 in Canada – nella regione di Charlevoix in Quebec, al Manoir Richelieu di La Malbaie, un castello da quattrocentocinque stanze sulle rive del fiume San Lorenzo – e sono tutti parecchio arrabbiati: la riunione di famiglia rischia di assomigliare a quelle di noi tutti, paese reale, pettegolezzi dietro le spalle, sorrisi tirati, le dichiarazioni finali te le firmi da solo.

 

Justin Trudeau, primo ministro canadese con l’aria dell’ospite perfetto, così elegante, così piacevole, così progressista, non sa ancora su che cosa puntare per dare un senso a questo incontro: avrebbe voluto che questo vertice fosse ricordato per le questioni ambientali, i lavori del futuro, la crescita che include tutti, il potere alle donne, ma pare che dovrà accontentarsi di qualche frase di circostanza. C’è Donald Trump da convincere, e ormai tutti i leader presenti al G7 hanno capito che il presidente americano sa essere molto gentile e premuroso, stringe le mani e pulisce il colletto della giacca perché tutto sia perfetto e fotografabile, ma poi fa di testa sua. Molto di testa sua. Tanto che persino Trudeau, che al suo vertice ci tiene e anche all’alleanza con la sua migliore amica, l’America (“non ci sono alleati più stretti e più preziosi degli Stati Uniti”, ha detto più volte in passato), ha perso la pazienza dopo che l’Amministrazione Trump ha deciso di imporre dazi pesanti soprattutto ai suoi alleati, gli europei e il Canada, per l’appunto. Abbiamo combattuto le guerre insieme, ha ricordato Trudeau, abbiamo lavorato insieme, ci vogliamo bene, da sempre, e ora com’è che non andiamo più d’accordo su nulla? Su Twitter il presidente americano ha attaccato il Canada e il suo vizio di approfittarsene della generosità americana: o accetti le nostre condizioni, ha detto Trump, o anche il Nafta, l’accordo di libero mercato con Messico e Canada, farà la fine degli altri trattati – il cestino. Trudeau si è spazientito e ha usato una formula che di solito viene utilizzata quando si tratta con i dittatori: si è rivolto al popolo americano. “Gli americani restano i nostri partner, i nostri amici, i nostri alleati. Questa crisi non riguarda il popolo americano, e pensiamo che a un certo punto il loro buon senso prevarrà ma – ha concluso il premier canadese – non ne vediamo alcun segno nelle azioni intraprese dall’Amministrazione”.

 

Trudeau può contare sugli alleati europei, che sono stati colpiti dai dazi e hanno reagito in modo ancora più duro: è un “atto illegale”, ha detto il presidente francese, Emmanuel Macron. Il quale è forse il leader più tradito da Trump: si era fidato del chiacchieratissimo “bromance” di fine aprile, quando era stato accolto a Washington da un presidente affettuoso, attento, generoso. Ora invece Macron si ritrova a dover gestire i dazi e il collasso di un altro accordo, quello sul nucleare iraniano, cestinato di recente da Trump. Nella gestione dell’Iran, il presidente francese ha dalla sua parte la Germania e il Regno Unito, ma pure quest’ultimo paese, con lo strazio dell’accordo sulla Brexit da finalizzare entro la fine di giugno, è quantomeno distratto. C’è chi dice che tanto disamore tutto assieme nei confronti di Trump porterà a un’unione da G6, versione globale di un mondo che cerca di fare i conti senza l’America: ci abbracciamo stretti noi, sarà infine il presidente americano che dovrà venirci a cercare. Ma davvero si vuole costruire un fronte (innaturale) contro l’America? Chissà il nostro nuovo governo che ne pensa. Intanto Trudeau cerca di compensare il fastidio tessendo rapporti con gli altri alleati e invitando ad assistere ai lavori altri paesi (il doppio di quelli che erano stati invitati a Taormina l’anno scorso), come quando organizzi una festa per tante persone quando in realtà sognavi una serata a due, e di solito lui si presenta accompagnato. E c’è il rischio che la foto ricordo con il cielo blu canadese a colorare il gelo finisca in fretta in un cassetto: meglio dimenticarli, gli amori volubili, gli amori falliti.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi