Shinzo Abe (foto LaPresse)

Consigli a Shinzo Abe per non farsi travolgere dal populismo

Giulia Pompili

Tra i leader del G7, il primo ministro giapponese vive una situazione anomala. Ma tra l’imprevedibilità di Donald Trump, la questione Corea del nord e gli scandali interni rischia grosso. Parla il prof. Sahashi

Roma. Il primo G7 con una forte componente populista e nazionalista sta per aprirsi in Canada, e precede di qualche giorno quello che è stato definito “il summit del secolo”, quello tra il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un. La politica estera americana ci riguarda un po’ tutti, eppure non sembra che leader come Trump siano disposti a gestire la crisi con gli alleati: “La politica estera dovrebbe essere sempre guidata dal calcolo e analisi dell’interesse nazionale ma anche dall’analisi dell’ambiente esterno”, dice al Foglio Ryo Sahashi, docente di Relazioni internazionali e direttore del Centro per gli studi asiatici della Kanagawa University, in Italia per un seminario organizzato dall’Istituto affari internazionali. “Con i leader populisti questo non succede: la primaria preoccupazione è l’interesse interno”. Un metodo che ha dei riflessi anche sulla questione nordcoreana e sulla stabilità dell’Asia orientale: “Per fare un esempio: all’inizio della presidenza Trump, il mio timore era che potesse valutare male le questioni nordcoreane o cinesi, e che questo avrebbe avuto un impatto negativo sulla sicurezza nazionale giapponese. Quello a cui guarda Trump è l’interno, si cura soprattutto dell’audience domestica. Se oggi si sente parlare di un Nobel per la Pace a Trump, ecco, di certo non era quello che si aspettava”.

  

Tra i leader del G7, il primo ministro Shinzo Abe vive una situazione un po’ anomala, visto che in Giappone, praticamente, il populismo non esiste: “Il nostro primo ministro, come politico, non ha mai negato l’esistenza di un establishment politico”, spiega Sahashi. “E’ un po’ difficile da spiegare: dopo la Seconda guerra mondiale si è conservato un sistema politico che vive una sua continuità. E i partiti al governo non hanno mai detto che dovevamo abbattere questo sistema. Se guardiamo a Trump, lui ha negato il sistema politico di Washington, e ha promosso idee antiglobaliste. Certo, è vero che di tanto in tanto si affacciano anche da noi alcuni movimenti antiglobalisti, per esempio quello contro il Tpp, contro il free trade, contro chi comanda, gruppi che vogliono preservare i loro interessi specifici, come gli agricoltori. Qualche volta il populismo arriva dalla politica locale, leader che vogliono demolire il potere locale, per esempio a Osaka o a Nagoya. Ma non succede mai al governo centrale. Credo che parte della ragione venga dai tre anni di governo del Partito democratico, seguiti dal governo del Partito liberal democratico: c’è una sorta di atmosfera condivisa che suggerisce ai cittadini di conservare la stabilità, altrimenti i progressi fatti dal Giappone potrebbero arrestarsi. E’ vissuta come un’urgenza quasi, preservare questa stabilità. Gli elettori chiedono delle riforme, certo, e che il governo faccia qualcosa di più dal punto di vista fiscale, sulle tasse, sulla politica domestica, su questo chiedono un cambiamento. Ma dal punto di vista politico hanno un atteggiamento conservatore”.

  

Il Giappone però in questo momento si trova in una fase difficile: Shinzo Abe, colpito da vari scandali interni, è descritto come il grande escluso dalle trattative distensive con la Corea del nord. E l’Amministrazione Trump continua a provocare reazioni contrastanti. Prima di tutto con l’introduzione dei dazi su acciaio e alluminio: “Con l’America abbiamo una lunga storia di negoziazioni sul commercio, diciamo sin dagli anni Ottanta e Novanta. Ma come ha detto l’altro giorno allo Shangri-La Dialogue il segretario alla Difesa Jim Mattis, il Giappone è un alleato fondamentale per l’America quando si parla di sicurezza. Gli affari economici non possono buttare fuori quelli di sicurezza”.

 

Dopo l’incontro alla Casa Bianca con Kim Yong-chol, Trump ha detto di non voler più parlare di “massima pressione”, un’espressione invece usata molto da Tokyo nei confronti di Pyongyang, e di non aver messo sul tavolo con i funzionari nordcoreani la questione dei diritti umani. Uno degli obiettivi politici di Shinzo Abe in questa partita è invece quello di avere nuove notizie sui cittadini giapponesi rapiti dalla Corea del nord negli anni Settanta e Ottanta, ed è anche per questo che Abe incontrerà Trump subito prima del summit del 12 giugno a Singapore con Kim. “Il Giappone ha avuto varie occasioni di confronto sulla questione nordcoreana. Il fatto è che in questo momento sembra che l’obiettivo del presidente americano sia di fare una fotografia storica, mentre altri istituti del governo americano lavorano per un dialogo costruttivo. La cosa più importante che ha detto Trump, nei giorni scorsi, è che il summit del 12 sarà ‘solo l’inizio’. Vuol dire che non firmerà niente, e ci sarà il tempo di verificare e costruire un rapporto di fiducia con il leader nordcoreano”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.