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Soffia il vento dei dazi, eppure Trump sceglie il mercatista (fedele) Kudlow

Kudlow è innanzitutto figura televisiva, uomo d’immagine e persuasione che con i suoi abiti impeccabili e i tormentoni taglienti si è ritagliato un posto nell’immaginario popolare americano

New York. Un consigliere della Casa Bianca ha detto ai cronisti di Politico che martedì sera Donald Trump ha chiamato Larry Kudlow mentre questi cenava a Manhattan e gli ha offerto il posto di direttore del Consiglio economico nazionale, scranno per cui mezza Washington si stava accapigliando dopo le dimissioni di Gary Cohn. Secondo il quotidiano, l’anchorman, che già ha prestato i suoi consigli a Trump durante la campagna elettorale, ha prontamente accettato l’incarico, confermando le voci che da qualche giorno girano intorno alla sua nomina. Voci peraltro messe in giro dal presidente, che ai suoi confidenti ha fatto il nome di Kudlow, contraddicendo la vulgata (che aveva una sua logica) secondo cui il primo della lista sarebbe stato il cantore del protezionsimo anticinese, Peter Navarro. La scelta del liberista Kudlow, un avversario di dazi e protezioni che diffonde il verbo della supply-side economics dai tempi in cui era consigliere di Reagan, configura l’ennesima contraddizione politica all’interno della Casa Bianca di Trump. L’esperienza di Cohn è finita sull’onda della decisione di mettere dazi, pur selettivi, sulle importazioni di acciaio e alluminio, politica inaccettabile per l’ex presidente di Goldman Sachs che, fra gli alti e bassi che sono naturali quando si ha a che fare con Trump, fino a quel momento era stato nella squadra dei vincitori dello scontro interno.

 

Aveva ottenuto la cacciata del dirimpettaio Steve Bannon e aveva assistito con soddisfazione al diradarsi della compagine nazional-populista, aveva messo all’angolo il segretario del commercio Wilbur Ross e la schiera dei protezionisti che vogliono ridiscutere i trattati commerciali e aveva ottenuto la riforma fiscale che voleva e guidato la deregolamentazione che piaceva ai suoi amici di Wall Street. Certo, era stato a un passo dalle dimissioni dopo i fatti di Charlottesville, lo scorso agosto, e sperava che il presidente premiasse la fedeltà di questo elemento internazionalista, e dunque spurio, nel regno dell’America First, promuovendolo a capo della Fed, ma in qualche modo fino ai dazi Cohn è sopravvissuto. Poi il vento è improvvisamente cambiato. Navarro ha preso ad andare in televisione a dire cose protezioniste e Trump si è reso conto che era efficace, le pulsioni protezioniste sono riaffiorate, i consiglieri hanno raccolto segni di malcontento fra i forgotten man a cui era stata promessa protezione, nella Casa Bianca è tornato di moda un insulto che era quasi scomparso dal vocabolario trumpiano: “Globalista”. Cohn è stata la vittima sacrificale di questo cambiamento del clima politico, ma poi – ecco il paradosso – a sostituirlo arriva Kudlow, un inflessibile mercatista che al pari del successore criticava i dazi su acciaio e alluminio che hanno fornito il casus belli per un avvicendamento. Kudlow era già stato considerato per questo incarico, ma al tempo della nomina i ben informati sostenevano che fosse stato scartato per l’eccessiva opposizione ai dazi e ai trattati di libero scambio. Mentre ieri Politico lanciava la notizia di Kudlow, l’animo protezionista di Trump twittava: “Non possiamo chiudere un occhio sulle pratiche commerciali scorrette contro il nostro paese!”.

 

Anchorman economico di lungo corso per la Cnbc, Kudlow ha iniziato la sua carriera pubblica come consigliere democratico ai tempi in cui studiava nella aule di Yale accanto a Bill Clinton. Ha lavorato alla Federal Reserve di New York e poi è passato al Partito repubblicano, e ha ricoperto diversi ruoli alla Casa Bianca durante il primo mandato di Reagan. Ha anche lavorato con Arthur Laffer, l’economista che con la sua famosa curva ha solleticato generazioni di liberisti. Da allora Kudlow ha sempre coltivato ottimi rapporti tanto con l’establishment di Washington che con la comunità di Wall Street, che infatti sarà decisamente sollevata quando l’indiscrezione sarà confermata dalla Casa Bianca (il capo del consiglio economico non ha bisogno di conferma da parte del Senato). Ma, al pari di Trump, Kudlow è innanzitutto figura televisiva, uomo d’immagine e persuasione che con i suoi abiti impeccabili e i tormentoni taglienti si è ritagliato un posto nell’immaginario popolare americano. E come Trump, anche lui mette il valore della fedeltà incondizionata al disopra di ogni altro. L’economista Stephen Moore, che ha lavorato con Kudlow, ha spiegato al Wall Street Journal la differenza fra lui e Cohn: “Larry sarà probabilmente una voce opposta a quella di Peter Navarro, ma sarà fedele al presidente una volta che le decisioni sono prese. Anche se perde, starà dalla parte della persona per cui lavora”.

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