Martin Schulz (foto LaPresse)

L'Spd costringe Schulz a rinunciare al ministero degli Esteri

Andrea Affaticati

I socialdemocratici insorgono contro il loro stesso ex leader e lo accusano di andare a caccia di una poltrona

Come sempre la Bild Zeitung ha bruciato tutti sul tempo e per prima ha titolato a caratteri cubitali: “I vertici dell’Spd si rivoltano contro Schulz – Vogliono che rinunci al posto di ministro degli Esteri”. Un’ora dopo, è stato lo stesso leader dell'Spd a confermare che non farà parte, qualora si dovesse davvero formare, del governo di grande coalizione. Una decisione alla quale Schulz non si è potuto sottrarre. Già mercoledì era stata grande la sua irritazione per alcune indiscrezioni su un presunto via libera di Schulz al programma di governo, ma condizionato dalla garanzia di un posto come nuovo ministro degli Esteri. Una contropartita, secondo i media, per avere ceduto il posto di leader del partito ad Andrea Nahles. Un gioco delle carte che ha scatenato una rivolta da parte di molti compagni di partito. Ma come, anziché imporsi nei programmi era lì a salvarsi il posto?, si sono chiesti nell'Spd.

 

"Schulz il voltagabbana"

 

E così hanno iniziato a girare le accuse: Schulz il voltagabbana, Schulz la banderuola al vento. I social media hanno addirittura coniato un nuovo lemma “schulzen”, per chi cambia idea ogni momento. Inoltre, in questi giorni non hanno fatto che girare video in cui Schulz alla domanda se mai sarebbe entrato in un governo guidato da Angela Merkel rispondeva con un netto: “No, la mia risposta è no”. Ma forse Schulz sarebbe anche sopravvissuto ai social media se non ci fosse stato l’affondo letale da parte del suo compagno di partito e attuale ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel. Questi in un’intervista ha accusato Schulz di avere fatto del suo futuro politico un’arma di ricatto, quando invece le trattative di queste due settimane si sarebbero dovute esclusivamente concentrare sui contenuti. La questione dell’assegnazione dei ministero sarebbe invece dovuta essere affrontata successivamente. L’intervista si chiude con Gabriel che cita la figlia di cinque anni che giovedì gli avrebbe detto: “Papà non essere triste. Adesso avrai più tempo di stare con noi e non con quell’uomo con i capelli in faccia”.

 

Ma come ha ricordato il politologo Karl-Rudolf Korte, lo stesso Gabriel a suo tempo ha lasciato la guida del partito perché le sue chance di uscire vittorioso dalla campagna elettorale erano pressoché nulle. E a sua volta si era rifugiato nel ministero che normalmente garantisce la popolarità nell’elettorato, gli Esteri appunto.

 

Gabriel vs. Nahles

 

Ma perché i vertici a questo punto hanno deciso di sacrificare proprio Schulz, l’uomo che poco più di un anno fa aveva ottenuto il cento per cento dei voti da parte dei delegati? La paura che alla fine i 460mila e passa iscritti all’Spd possano votare in maggioranza contro il programma di grande coalizione elaborato da Cdu, Csu bavarese e Spd resta grande. Come diceva il giovane Kevin Kühnert, capo dei Jusos (l’organizzazione giovanile dell’Spd): “Certo sono stati introdotti punti importanti nel programma, ma non i due che più ci premevano: il pari trattamento tra pazienti mutuati e pazienti privati e l’abolizione delle assunzioni a tempo determinato senza giusta causa”.

 

Forse quella che ha fatto più fatica a buttare Schulz giù dalla torre è stata Andrea Nahles, la nuova leader in pectore del partito. Anche perché ora si pone la domanda su chi, eventualmente, potrà prende in mano il dicastero degli Esteri. Tra Nahles e Gabriel, infatti, non è mai corso buon sangue e in generale Gabriel non è amato nel partito. D’altro canto, come diceva sempre Korte, non si vedono altri potenziali pretendenti capaci di guidare questo ministero. Dunque Gabriel potrebbe restare al suo posto, anche se solo pro tempore, mente Nahles alla fine ha ceduto alle pressioni. Anche perché lei sa, come sa tutta la dirigenza attuale dell’Spd, che se alla conta del 4 marzo la grande coalizione sarà bocciata, non sarà solo Schulz a essere a fare le valige, ma anche l'intera dirigenza del partito.