Mariano Rajoy (foto LaPresse)

La Catalogna si fa stato. Rajoy usa la prima persona per commissariarla

Eugenio Cau

Scontro durissimo tra governo centrale e la regione che si dichiara indipendente. Madrid indice nuove elezioni il 21 dicembre

Roma. Il frontale al rallentatore tra il governo spagnolo e la Generalitat catalana è arrivato venerdì allo schianto, dopo un avvicinamento durato oltre un mese. Con sincronia perfetta, il Parlament di Barcellona ha votato una mozione in cui si dichiarava, infine, l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, e circa mezz’ora dopo il Senato di Madrid con una votazione schiacciante dava carta bianca a Mariano Rajoy per applicare l’articolo 155 della Costituzione. Il voto catalano sull’indipendenza è arrivato quasi imprevisto, dopo una mattinata in cui pareva che un accordo tra Barcellona e Madrid fosse ancora possibile. I mediatori, dal leader socialista Miquel Iceta al governatore basco Iñigo Urkullu, continuavano a dire che “c’è ancora tempo”, ma tutto alla fine è precipitato: opposizione fuori dall’Aula, scrutinio segreto (per evitare ripercussioni giudiziarie, ma anche per scongiurare il pericolo di ripensamenti provocati dalla vergogna pubblica), 70 voti a favore, 10 contro, 2 schede bianche. La folla indipendentista, radunata a grappoli di migliaia un po’ fuori dal palazzo della Generalitat, un po’ fuori dal Parlament, un po’ in tutte le altre piazze, scoppiava di gioia, ma nel momento esatto in cui la Catalogna diventata uno stato indipendente si trasformava anche in una regione commissariata – o meglio, in un “territorio conteso”, come ha scritto Wikipedia per qualche ora. In serata, davanti ai giornalisti e con il 155 appena approvato, Rajoy è stato durissimo: sciolta la Generalitat catalana, deposti Puigdemont e tutto il suo governo, chiusa la gran parte degli organismi dell’autogoverno e delle rappresentanze all’estero. Poi è passato alla prima persona, e ha detto: “Oggi ho sciolto il Parlamento della Catalogna e il 21 di dicembre si celebreranno nuove elezioni”. 

  

E’ cominciata “l’opzione nucleare” del 155, e venerdì c’era una certa sicumera nel dire: è tutto finito. Ma ecco, siamo proprio sicuri che sia così facile riportare all’obbedienza un territorio ribelle? La battaglia più dura, quella per il controllo delle istituzioni, delle forze dell’ordine e della gente nelle strade, inizia adesso. Il Foglio ha parlato al telefono con Francesca Ferreres, dirigente dell’Anc, il principale dei movimenti secessionisti che hanno mobilitato le piazze in questi mesi. Ferreres si trovava venerdì davanti al Parlament per “difendere le istituzioni repubblicane”, e quello che ci dice è abbastanza significativo del tipo di scontro che si sta per produrre in Catalogna: “Da oggi noi e la Spagna siamo due paesi diversi. Madrid è la capitale di uno stato estero che non deve intromettersi negli affari interni della Catalogna. Ogni intervento della polizia qui sarà considerato come un’invasione straniera”.

 

Le misure approvate venerdì dal Consiglio dei ministri spagnolo e annunciate ai giornalisti da un Rajoy durissimo per ora non riguardano, nello specifico, grandi operazioni di polizia, ma sono più che altro manovre di carattere amministrativo. Oltre a Puigdemont, al vicepresidente Junqueras e a tutto il governo catalano è destituito anche il direttore generale della polizia catalana e chiusa una serie di organismi e uffici, in particolare le cosiddette “ambasciate”, gli uffici di rappresentanza che Barcellona ha installato all’estero (ce n’è uno anche in Italia), con l’eccezione di quello di Bruxelles. Rajoy ha detto che saranno i “ministeri competenti” di Madrid a occuparsi della gestione della cosa pubblica in Catalogna, e poi, ovviamente, ha indetto elezioni “per ristabilire quanto prima la normalità”. Resta fuori dal 155 il controllo dei mezzi di telecomunicazione catalani, escluso dalla mozione approvata al Senato dopo un accordo tra Pp e Psoe. Ma queste sono appunto le prime misure, e la loro applicazione, così come la progressione con la quale se ne andranno ad applicare altre più gravi, dipendono tutte dal livello di opposizione che praticheranno i catalani. A Barcellona, in teoria, è iniziato il “processo costituente” della nuova repubblica, ma è più probabile che si prepari la resistenza.

 

Nelle cancellerie europee la dichiarazione di indipendenza della Catalogna è stata accolta con freddezza. Dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk a quello dell’Europarlamento Antonio Tajani (“Nessuno nell’Unione europea riconoscerà questa dichiarazione”), giù fino a tutte le capitali dell’Unione, per ora nessuno ha offerto ai catalani quel sostegno internazionale vitale al fine di dare consistenza all’indipendenza. “Gesto fuori dalla legge. Ferma condanna”, ha twittato il ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.