La seduta del Parlamento catalano in cui è stata proclamata l'indipendenza (foto LaPresse)

Catalogna, l'establishment a pezzi

Sergio Soave

Così la prospera borghesia e i movimenti operai della Catalogna si sono consegnati ai secessionisti

Barcellona. Le origini della crisi catalana che è arrivata ieri a un punto critico irreversibile sono difficili da identificare. Il fatto che in una società tutto sommato prospera, con una metropoli cosmopolita, si affermino tendenze identitarie capaci di travolgere l’assetto istituzionale è di per sé abbastanza contraddittorio. Probabilmente alla base di questo fenomeno c’è una crisi profonda delle classi dirigenti economiche e delle organizzazioni legate al mondo del lavoro. I due partiti che si sono alternati alla guida della Generalitat sono Convergencia y Uniò, un raggruppamento nazionalista moderato, di tipo democristiano, legato a filo doppio con le banche e i settori imprenditoriali, e il Partito socialista catalano (affiliato sul piano nazionale al Psoe), di tendenze socialdemocratiche. Ambedue nell’ultimo decennio hanno avuto bisogno per raggiungere la maggioranza nel Parlament dell’apporto della Erc (Sinistra repubblicana catalana) che con grande abilità ha sfruttato l’alleanza per fagocitare gli alleati maggiori, prima i socialisti e poi i catalanisti moderati, spingendoli verso una prospettiva separatista. La classe dirigente, incentrata sulla Caixa e il Sabadell, le principali potenze finanziarie catalane – che aveva investito su Convergencia anche per lucrare qualche vantaggio di posizione nella contrapposizione al governo di Madrid, in modo da sottrarsi al dominio delle due banche nazionali, il Santander e il Banco di Bilbao –, non è riuscita a fermare la deriva separatista del “suo” partito. Era più efficace la campagna separatista della squadra di calcio del Barcellona, legata ad altre cordate finanziarie e industriali e sostenuta da una tifoseria legata alla squadra da una meccanismo di azionariato popolare. 

 

Quando la dinastia dei Pujol, che aveva dominato fin dall’inizio Convergencia, fu implicata in uno scandalo (reso particolarmente contundente dalla rivelazione dei conti segreti ad Andorra, probabilmente promossa da settori madrileñi che volevano controbilanciare l’ondata di scandali che colpivano il Pp e il Psoe), la guida del partito e del governo locale fu affidata a Artur Mas, un economista di tradizione liberale però privo di visione politica. Paradossalmente fu proprio Mas, il pupillo dell’establishment catalano, a rinunciare alla politica di riforme liberiste necessaria per affrontare la crisi economica, per ottenere l’appoggio parlamentare di Erc, che ha spinto per una politica di spesa incontrollata. Lo stesso, peraltro, era avvenuto prima con i governi catalani a guida socialista, anch’essi obbligati a chiedere un appoggio esterno alla sinistra repubblicana.
Per evitare la bancarotta e, secondo alcuni, per ottenere un’amnistia, i dirigenti politici catalani si sono avviati sulla via emotiva dell’indipendentismo, che permetteva di addossare al governo di Madrid tutte le responsabilità del dissesto e della scarsa efficacia di governo. La sconfitta elettorale socialista aveva intanto limitato la forza dell’unico partito nazionale spagnolo con un peso reale in Catalogna, mentre proprio lì, oltre al successo degli indignados di Podemos si verificava la nascita e la crescita di una formazione unionista e antisecessionista, Ciudadanos, che poi avrebbe ottenuto consensi rilevanti in tutta la Spagna. Né il sistema economico e finanziario né il movimento operaio riuscivano più a influire in modo decisivo sulle scelte di una classe politica irresponsabile.

 

La reazione tardiva dell’establishment si è concretizzata in un’ondata di trasferimenti delle sedi sociali do quasi 1.700 aziende fuori dalla Catalogna, mentre il movimento operaio non ha accompagnato la spinta indipendentista con manifestazioni e scioperi (escluso quello contro le violenze poliziesche in occasione del referendum). Insomma le forze normalmente trainanti della dialettica sociale si sono ritirate nell’esilio o nell’indifferenza, sintomi evidenti della loro crisi e del loro declino. Attendono passivamente l’intervento dello stato spagnolo e non sono in grado di sostenere il movimento popolare unionista, che pure ha dato prova di contare su un certo sostegno almeno in una manifestazione molto partecipata. Ora che si è arrivati alla rottura definitiva sul piano istituzionale e giuridico, il fallimento delle classi dirigenti e del movimento operaio catalani si esprime nell’affermazione retorica di una indipendenza impossibile e nella abolizione di fatto dell’autonomia catalana. Ripartire da queste macerie non sarà certo facile.

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