Il presidente del Consiglio Gentiloni incontra il presidente del Ciad Idriss Deby Itno (foto LaPresse)

Conoscere il Ciad per comprendere le differenze tra noi e la Francia

Alessandro Orsini*

I paesi a sud della Libia sono cruciali per controllare l’immigrazione. Gli accordi di Minniti e qualche dettaglio storico

Il Ciad è diventato un paese importante per l’Italia in seguito alle scelte strategiche del ministro dell’Interno Marco Minniti, la cui idea è semplice da riassumere: siccome la Libia non è più in grado di controllare i propri confini meridionali a causa del crollo dello stato centrale, il Ciad e il Niger hanno il potere di decidere chi può entrare in Libia per raggiungere le coste da cui partono i barconi verso l’Italia. Fino a qualche anno fa, l’immigrazione dalla Libia poteva essere arrestata grazie a un solo accordo con Gheddafi, trucidato il 20 ottobre 2011 a Sirte. Oggi, all’Italia occorrono almeno quattro accordi: un accordo con il Niger, uno con il Ciad, uno con il governo di Tripoli guidato da Fayez al Serraj, e uno con quattordici sindaci del sud della Libia che Minniti ha incontrato prima a Tripoli, il 13 luglio, e poi al Viminale, il 26 agosto scorso.

  

  

Il Ciad è strategicamente molto rilevante per l'Europa, ma è instabile politicamente, il 40 per cento della popolazione (molto giovane) vive sotto la soglia di povertà, e la corruzione è ai massimi. Nonostante ci sia una dittatura, Parigi impedisce da decenni qualunque tentativo di rovesciarla

La conoscenza del Ciad è importante per due ragioni. La prima è che nessun paese può ignorare i paesi che assumono importanza strategica per la loro sicurezza nazionale. Vale anche per l’Italia. La seconda è che la conoscenza del Ciad consente di mettere a fuoco le differenze tra la cultura politica della Francia e quella dell’Italia. Quanto al Ciad, si tratta di un paese caratterizzato da una notevole instabilità politica, molto carente nella protezione dei diritti umani. Dopo avere conquistato l’indipendenza dalla Francia l’11 agosto 1960, è stato dilaniato da una serie di guerre civili esplose nel 1965. Un report di Amnesty International del 2013 accusa il presidente del Ciad, Idriss Déby, di reprimere brutalmente ogni forma di dissenso. Il primo errore da evitare, in sede di analisi politica, è il moralismo.

 

Il presidente del Ciad non può essere giudicato con gli stessi criteri con cui giudichiamo Macron o Gentiloni. La differenza tra questi capi di stato e il presidente del Ciad è che i primi non sono in pericolo di vita mentre il secondo vive nel timore costante di essere assassinato o rovesciato. I tentativi di ucciderlo sono stati numerosi. Idriss Déby è diventato presidente nel 1990, dopo avere scalzato il suo predecessore, Hissène Habré, condannato all’ergastolo in Senegal, il 30 maggio 2016, per crimini gravissimi contro l’umanità. Hissène Habré, la cui ascesa fu favorita dalla Francia, è ritenuto responsabile di stupri, massacri, rapimenti, torture e dell’uccisione di circa 40 mila persone tra il 1982 e il 1990. Basterebbe questo per comprendere che il Ciad è privo delle precondizioni socio-politiche che consentono l’edificazione di una democrazia liberale. Ad aggravare la situazione interna si sono aggiunti gli attentati di Boko Haram, la potente organizzazione jihadista basata nel nord della Nigeria che ha iniziato a uccidere in Ciad a partire dal 2015, e le migliaia di rifugiati sudanesi in fuga dalla guerra in Darfur.

  

Il paese è relativamente povero, nonostante abbia avviato la produzione del petrolio nel 2003. Il fatto che il 40 per cento della popolazione viva sotto la soglia di povertà rende comprensibile che il Ciad, peraltro classificato tra i paesi più corrotti del mondo, abbia un interesse a utilizzare la sua capacità di incidere sui flussi migratori verso l’Italia per ottenere soldi dalla ricchissima Unione europea, il cui pil, Gran Bretagna inclusa, è più elevato di quello degli Stati Uniti. Oltre il 40 per cento delle donne ciadiane è stato sottoposto alla mutilazione dei genitali, quasi sempre senza anestesia, anche se la percentuale è in diminuzione grazie all’impegno del governo nel contrastare tale pratica che, nel 1995, riguardava addirittura il 60 per cento delle donne, soprattutto nelle aree rurali. Il 52 per cento della popolazione è di religione islamica, il 24 è protestante e il 20 per cento cattolico. I musulmani si concentrano al nord e i cristiani al sud. Il Ciad ha inoltre un tasso di fecondità elevato. I giovani sono tanti: più del 65 per cento ha meno di 25 anni.

   

La conoscenza del Ciad consente di porre a confronto la cultura politica dei francesi con quella degli italiani. Nonostante il presidente del Ciad abbia tutti i tratti tipici dei dittatori, la Francia impedisce qualunque tentativo di rovesciarlo. La rivolta più grave risale al 2 febbraio 2008. I ribelli, sfondate le difese della capitale N’Djamena, hanno assediato il palazzo presidenziale che però ha risposto al fuoco con estrema determinazione riuscendo a scacciare gli insorti dopo tre giorni, grazie anche all’intervento dei soldati francesi. Lo scontro ha causato centinaia di morti, molti dei quali tra i civili, i cui corpi giacevano senza vita per le strade della città. I ciadiani sfollati in Cameron, a causa degli scontri, sono stati 30 mila. La politica estera della Francia si basa sul principio che sia meglio difendere un brutale dittatore piuttosto che perdere il controllo su un intero paese africano. Hissène Habré, che abbiamo ricordato per i suoi gravissimi crimini contro l’umanità, è stato a lungo difeso dai soldati francesi, i quali sono stati in Ciad dal 13 febbraio 1986 all’1 agosto 2014, nell’ambito dell’operazione Epervier, e che sono a tutt’oggi presenti, anche se in numero ridotto rispetto al passato. Quando iniziò la primavera araba contro Gheddafi, l’Italia provò vergogna a schierarsi al fianco di un dittatore e non si oppose alla decisione della Francia di abbatterlo con le bombe. A parti invertite, la Francia non avrebbe consentito all’Italia di abbattere Gheddafi così come non consentirebbe a nessun paese di abbattere Idriss Déby. L’opinione pubblica francese è abituata a intervenire militarmente in favore dei dittatori africani, se sono amici della Francia. Nella foto del vertice di Parigi del 28 agosto 2017, che ha discusso i metodi per arginare i flussi migratori verso l’Europa, Idriss Déby siede alla destra di Macron, proprio accanto al presidente della Francia.

    

*Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS

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