LaPresse/Ufficio Stampa Marina Militare

Adesso i trafficanti libici si convertono alla lotta antiscafisti

Daniele Raineri

Un gruppo armato blocca le partenze dei barconi a Sabratha, dove il nostro ambasciatore ha appena portato aiuti

Roma. La costa filibustiera dell’ovest della Libia, quel tratto compreso tra la capitale Tripoli e il confine con la Tunisia che fa da rampa di partenza per la maggioranza dei barconi diretti verso l’Italia, si sta allineando con il nuovo corso deciso a Tripoli e Roma. Due giorni fa Reuters ha pubblicato un pezzo esclusivo in cui racconta che una milizia locale nella città di Sabratha ha cominciato a bloccare con efficacia tutte le partenze dei barconi, a pattugliare la spiaggia e a imprigionare i migranti in condizioni che non sono specificate, e sarebbe questa la causa della diminuzione repentina di partenze (non è una novità che funziona al cento per cento, perché ieri pomeriggio la guardia costiera libica ha bloccato 105 migranti, di cui sette donne, proprio al largo di Sabratha). Il capo sarebbe un boss della mafia locale che si è riciclato come guardiano anti immigrazione e il nome della milizia, secondo una soltanto delle tre fonti sentite, è “Brigata 48”. Un’altra fonte locale sentita dal Foglio dice che si tratta di “contrabbandieri che si sono messi a fare i poliziotti, per guadagnare legittimità”. Non si conosce il nome del leader e per ora non si conoscono altri dettagli.

  

Se il business dei barconi libici è stato preso di mira da un’operazione internazionale e rischia di diventare assai meno attraente, allora – deve avere pensato questo ras di Sabratha – tanto vale passare dalla parte di quelli che guadagnano lavorando contro il traffico e cominciare a rivendicare una posizione di legittimità davanti al governo di Tripoli e agli italiani. E’ un segno di adattamento al recente patto di collaborazione tra Italia e Libia che prevede una lotta comune contro le organizzazioni di scafisti, un caso di piromani che per interesse diventano pompieri. In palio ci sono finanziamenti generosi da parte dell’Unione europea, che potrebbe replicare in Libia il modello Erdogan sull’immigrazione – vale a dire denaro in cambio del blocco delle rotte di migrazione. Con la differenza che la Turchia esercita un ferreo controllo centralizzato su tutto il processo, ha costruito campi profughi che fa visitare ai giornalisti e lascia che la maggioranza dei siriani viva in Turchia fuori dai campi. In Libia invece il governo di Tripoli fa da tavolo dei negoziati di tutte le milizie e i gruppi della costa. Il premier Fayez al Serraj è debole, ma è il canale di comunicazione ufficiale e legittimo con i governi europei.

  

Durante una conferenza stampa a Ferragosto il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, aveva annunciato che l’Italia avrebbe consegnato aiuti umanitari a Sabratha e a Zuwara, che hanno entrambe la fama di essere il centro del traffico di uomini. Sabratha, si ricorderà, è quella cittadina ambigua dove lo Stato islamico viveva in tranquillità prima che a febbraio 2016 un bombardamento americano contro una villa occupata dal gruppo non facesse saltare la copertura. All’inizio di marzo dell’anno scorso quattro tecnici italiani che erano stati sequestrati e tenuti dallo Stato islamico a Sabratha furono separati, due restarono uccisi in uno scontro a fuoco e altri due furono liberati. Quando si spense l’attenzione sul rapimento, a Sabratha ci fu una violenta faida contro lo Stato islamico che si concluse con la cacciata dei fanatici dalla città.

  

Il 16 agosto l’ambasciatore italiano in Libia, Giorgio Perrone, è stato fotografato davanti a un aereo cargo italiano su una pista di Sabratha carico di rifornimenti medici per l’ospedale locale. Erano tutti scatoloni con sopra il tricolore e la scritta “Gift of the Italian government”. Meno di una settimana dopo, è arrivata l’esclusiva di Reuters.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)