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I signori del petrolio avvertono Theresa May

Redazione

L’industria petrolifera e mineraria della City invoca una Brexit soft

La grande industria estrattiva britannica (idrocarburi e settore minerario) chiede una Brexit soft per non restare intrappolata dai maldipancia finanziari legati alla fuga dalla City, avvalorati dai recenti annunci del capo della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein. Ora Theresa May dovrà vedersela con titani del calibro di Glencore e Rio Tinto, con le società petrolifere e del gas legate all’indotto del Mare del nord, un’industria che vale come capitalizzazione di mercato una cifra astronomica: mille duecento ottantasette miliardi di euro. Ecco perché queste realtà hanno preso carta e penna e scritto al capo del governo per chiedere un intervento deciso.

 

“Stiamo diventando un’industria più competitiva a livello globale ma continuiamo a essere molto sensibili al carico addizionale legato ai costi o alle restrizioni al movimento del personale”, si legge nella missiva scritta dal ceo dell’associazione che riunisce l’industria del petrolio e del gas (Oil&Gas Uk), Deirdre Michie. Il negoziato con Bruxelles sulla Brexit diventa dunque fondamentale per l’economia britannica. In base al peggiore degli scenari delineati dall’Organizzazione mondiale per il commercio, citato da Michie, i costi per il commercio di greggio e gas del Regno Unito passerebbero dagli attuali 600 milioni di sterline annui al miliardo di sterline. Per questo motivo la stessa May sta cercando nuove alleanze energetiche e finanziarie. La sua recente visita in Arabia Saudita, ha fatto emergere la volontà di Londra di perseguire una politica di rafforzamento delle relazioni bilaterali, soprattutto in campo economico. Secondo molti analisti, la presenza di Xavier Rolet, responsabile della Borsa di Londra, nel viaggio saudita della May, è il segno che la piazza londinese vuole ottenere a tutti i costi lo sbarco sul mercato finanziario saudita in occasione della offerta pubblica iniziale più grande della storia, quella del colosso energetico del Regno saudita Saudi Aramco che varrebbe 2 mila miliardi di dollari (stime del Financial Times dicono valga la metà). I responsabili governativi di Riad hanno deciso che prima della quotazione gli asset di Aramco passino sotto il controllo del Fondo pubblico saudita che in questo modo aumenterà notevolmente il perimetro del suo portafoglio da un valore attuale di equity di 160 miliardi di dollari ad oltre 2 mila miliardi di dollari. Il capo del fondo sovrano, Yasser al Rumayyan, che ha già importanti connessioni con la finanza inglese, potrebbe presto diventare l’uomo più potente del medio oriente e garantire un nuovo futuro alle mire espansionistiche britanniche. May non può ignorare i signori del petrolio che albergano nella City di Londra.

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