Non solo elezioni francesi. Così Goldman perde l'aura di onnipotenza

Alberto Brambilla

Il suggerimento di vendere allo scoperto titoli di stato francesi nella prospettiva negativa che vincesse Le Pen è stata un’altra scommessa sbagliata 

Roma. Probabilmente Goldman Sachs ha preso per il verso sbagliato le elezioni francesi vinte da Emmanuel Macron del partito EnMarche! quando ha consigliato alla vigilia del primo turno di vendere allo scoperto titoli di stato francesi nella prospettiva negativa che vincesse l’avversaria Marine Le Pen del Fronte Nazionale. E’ stata un’altra scommessa sbagliata di una delle banche più influenti degli Stati Uniti ammantata di un’aura di onnipotenza nell’immaginario collettivo. A quindici giorni dal primo turno, temendo un ampio successo di Le Pen, Goldman prevedeva un allargamento del differenziale tra titoli di stato decennali tedeschi (Bund) e francesi (Oat), tra 144 e 150. Ma dopo il ballottaggio vinto da Macron lo spread è tornato ai livelli di novembre, a 33 punti base, pur in seguito a un periodo turbolento che ha caratterizzato la campagna elettorale.

 

Goldman era nota, ad esempio, per avere inventato l’acronimo Brics, paesi emergenti da valorizzare. Ma la forza di Brasile, Russia, Sud Africa s’è rivelata fragile, mentre Cina e India sono potenze asiatiche in ascesa. Più famosa la scommessa su una vittoria della nazionale di calcio brasiliana che ospitava in casa i mondiali del 2014, avvalorata da un algoritmo. La nazionale carioca arrivò in semifinale ma fu surclassata per 7 reti a 1 dal quella tedesca. L’ultima puntata andata male, la più vistosa, è stata quella sugli effetti dell’Amministrazione Trump negli Stati Uniti. Gli analisti e i trader sentiti dal Financial Times ritengono che Goldman abbia sostanzialmente sbagliato la puntata per il primo trimestre dell’anno, nel quale ha riportato guadagni per 2,2 miliardi di dollari con ricavi da trading sostanzialmente invariati. Unica tra le grandi banche americane a deludere le aspettative, Goldman dava per scontato che le parole di Trump su un’accelerazione della crescita economica in America avrebbero spinto in alto i tassi di interesse e ridotto i prezzi delle obbligazioni societarie.

 

La crescita del pil invece è stata la più debole da tre anni (più 0,7 per cento) mentre rallenta la spesa per consumi delle famiglie – un indicatore che Goldman esalta. Dall’inizio di gennaio alla fine di marzo gli investitori hanno cominciato a mettere in dubbio le loro convinzioni sul percorso e la durata del rialzo dei tassi della Federal reserve e così è accaduto l’opposto di quanto previsto da Goldman, che si è trovata spiazzata rispetto ai concorrenti. I ricavi da trading sui titoli a reddito fisso di Goldman sono pressoché rimasti invariati rispetto al primo trimestre del 2016 (più 1,3 per cento) mentre sono aumentati per JP Morgan (17), Citigroup (19), Bank of America (29). Martin Chavez, che ha assunto l’incarico di direttore finanziario di Goldman a maggio in seguito a un ricambio al vertice, ha ammesso che “la compagnia avrebbe potuto navigare meglio i mercati”, come a dire che anche l’esecuzione ha contribuito a peggiorare la performance della banca, unica delle sei principali negli Stati Uniti a deludere le aspettative.

 

Gli analisti si interrogano se l’uscita di Gary Cohn, diventato capo dei consiglieri economici di Trump dopo dieci anni da direttore finanziario a Goldman, abbia influito sulla mentalità della banca. “Penso che Cohn fosse il cervello dietro a Goldman”, ha detto Dick Bove di Rafferty, un intermediario finanziario. Se i risultati non sono all’altezza della “Ferrari” delle banche, l’influenza politica dell’istituto guidato da Lloyd Blankfein è però aumentata notevolmente dalla crisi finanziaria del 2008: i suoi uomini occupano posti di potere nell’Amministrazione americana, tanto che il governo Trump è stato soprannominato “il governo Goldman” dai critici. Oltre a Cohn, il ministro del Tesoro, Steve Mnuchin, proviene dalla banca d’affari come partner, e lo era anche il padre Robert. Il suo numero due al Tesoro, Jim Donovan, è un veterano dell’investment banking di Goldman. Lo stratega politico di Trump, Steve Bannon, rimosso dal Consiglio per la sicurezza nazionale, era passato di lì negli anni Ottanta. Dina Habib Powell, vice assistente di Trump per gli Affari di sicurezza nazionale, era in Goldman dal 2006 e aveva già lavorato per Bush. Secondo il ceo Blankfein, questo drenaggio di risorse umane non rivela che Goldman è invincibile, e quindi può ottenere trattamenti di riguardo, ma “al contrario quelli che sono al governo si faranno in quattro per evitare qualsiasi sospetto di favoritismo”, dice. Di certo avere a disposizione esponenti politici di rango, modelli matematici d’avanguardia o analisti esperti in paesi rilevanti non garantisce scommesse fortunate nemmeno alla banca più potente di Wall Street . 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.