Emmanuel Macron in campagna elettorale (foto LaPresse)

I tormenti dell'elettorato francese di sinistra che tende verso Macron e mostra la debolezza di Hamon

Paola Peduzzi

Il “voto intelligente” sembra fin da ora l’unico metodo di prevenzione possibile contro una vittoria di Le Pen. Tra le considerazioni degli elettori esitanti emergono tutti i problemi della candidatura del candidato socialista

Milano. “Il grande dubbio”, scrive Libération, sta tormentando l’elettorato francese, soprattutto quello di sinistra, che si trova a decidere tra la candidatura debole del suo candidato di riferimento, Benoît Hamon, e la candidatura forte del candidato-traditore, Emmanuel Macron, leader di En Marche!, che non ha voluto partecipare alle primarie socialiste e che ora, nel suo scontro con Marine Le Pen, sta lasciando ai margini – almeno così registrano i sondaggi – i partiti tradizionali di sinistra e di destra. Libération mette in prima pagina questo tormento, rubricandolo sotto al grande capitolo del “voto utile”, che spacca coscienze e anche possibili assestamenti.

 

Il giornale della gauche francese più radicale, che non ha mai visto di buon occhio Macron e che ha resistito alla campagna-calamita del giovane ex ministro dell’Economia, è andato a parlare con gli indecisi di Francia, quelli che alle primarie socialiste hanno votato e che ora, per evitare un secondo turno tutto a destra, tra François Fillon, leader gollista, e la Le Pen, tendono ormai verso Macron. Hamon, che del rischio del voto utile si è già accorto, ha dichiarato che una preferenza per Macron “non è utile agli insegnanti, ai pensionati, ai dipendenti pubblici” e che anzi sarebbe “un marciapiede” per il Front national della Le Pen. Ma i continui rumors sulla possibilità che siano gli stessi ministri del governo socialista a spostarsi verso Macron – si dice che persino il presidente, François Hollande, sia tentato – accrescono i tormenti.

 
Lo spettro del 21 aprile del 2002 aleggia sulla Francia, e il “voto intelligente”, come dice un elettore indeciso a Libération, sembra fin da ora l’unico metodo di prevenzione possibile. Tra le considerazioni degli elettori esitanti emergono tutti i problemi della candidatura di Hamon. “Ha perso troppo tempo a rincorrere Mélenchon”, dice uno di loro, facendo riferimento al leader della sinistra più radicale che è stato ampiamente corteggiato dal candidato socialista ma non si è lasciato conquistare. Il risultato di questo tentativo fallito è piuttosto evidente se si guardano i numeri: Hamon non supera il 15 per cento dei consensi, Mélenchon è attorno al 10-11 per cento. Insieme, i due avrebbero raggiunto una quota simile a quella della Le Pen e di Macron, cioè sarebbero stati un pochino competitivi, ma così, spezzati a metà, sono rimasti indietro, fuori dal ballottaggio.
Secondo altri elettori, Hamon avrebbe dovuto “aggiungere un po’ d’acqua al suo vino”, accettare qualche compromesso nel suo programma, rinunciare alle proposte più radicali, così sarebbe riuscito ad allargarsi verso il centro, soprattutto dopo che il corteggiamento a sinistra è fallito.

 

Ma la questione ideologica, nel Partito socialista francese e in molti altri, non è certo recente e non è legata esclusivamente a Hamon. Nei cinque anni di presidenza Hollande, ci sono state faide continue tra i moderati e i radicali, anzi, la candidatura di Macron nasce proprio da questa frattura insanabile: l’anno scorso, dopo che erano state approvate tra molte controversie le leggi sulle liberalizzazioni che portano il nome dell’ex ministro dell’Economia, Macron venne dipinto come un corpo estraneo al partito e nell’indifferenza tattica di Hollande decise che dentro alla sclerosi socialista non avrebbe avuto né chance né futuro. En Marche! nasce da questa constatazione: gli elefanti del partito avrebbero impedito in tutti i modi a Macron di imporsi, e lui si era convinto che il Ps non era riformabile, anzi, era destinato a radicalizzarsi ancora di più. I fatti gli hanno dato ragione, ma l’elettorato di sinistra, che in quella frattura si muove da tempo senza mai lavorare a una riconciliazione fattiva, ora si trova diviso su tutto: su Hamon, su Macron e anche sull’operato di Hollande.

 
Il presidente ha deciso di raccogliere comunque le firme necessarie a una seconda candidatura, e quando si è sparsa la notizia molti hanno pensato che Hollande fosse pronto a rimettersi in gioco per salvare il destino del Ps che al momento non sembra affatto roseo. Il tatticismo del presidente è leggendario, e nessuno esclude nulla, ma prevale nei commentatori l’idea che lo stesso Hollande stia in realtà facendo il gioco di Macron, anche se forse non renderà esplicita la sua preferenza. “Hanno fatto i frondisti per cinque anni e ora vogliono prendersi l’eredità di Hollande”, dice un elettore indeciso arrabbiato con Hamon e i suoi che hanno contestato con forza le (poche) riforme del governo, salvo poi oggi ricercare uno slancio (debole) da lui.

 

Non si può essere allo stesso tempo eredi e oppositori di Hollande, ma è anche vero che il quinquennato di questo presidente è stato talmente ondivago, talmente costellato di passi indietro che in effetti la contraddizione è plausibile. Ma crea ulteriore confusione e tormento, e il “tutto tranne la Le Pen” diventa un mantra abbastanza credibile per sotterrare, anche questa volta, i dubbi ideologici. Che sono tanti, se è vero che un elettore esitante dice che secondo lui Macron è l’incarnazione vivente della socialdemocrazia e il vero rappresentante del centrosinistra è lui, e l’altro invece dice di sentirsi male all’idea di votare uno che vuole “uberizzare tutto”, economia e società. Ma l’alternativa? È vaga, anzi forse non c’è.

  
Lauren Joffrin, co-direttore di Libé, nell’editoriale che accompagna l’inchiesta, dice chiaramente che “nel cuore dell’elettorato socialista, presso i militanti e presso i quadri di partito, il voto per Macron attira come un magnete”. Ma Joffrin vuole continuare a resistere, e il suo risuona come un appello più ampio: dice che il “centrismo glamour” di Macron non è convincente, il candidato di En Marche! è “una zebra della politica”, alterna righe socialistizzanti a righe liberali, ma il trucco si vede. “La metà dei sostenitori di Macron confessa di essere ancora esitante”, scrive Joffrin e lo dice come se questa fosse una buona notizia per i socialisti e non l’ennesima prova di debolezza. La soluzione? Che Hamon diventi credibile. Vasto programma.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi