L'arrivo di aiuti umanitari della CRI in Siria (foto LaPresse)

Così in Siria i convogli di aiuti sono un altro modo di fare la guerra

Daniele Raineri
Kerry accusa la Russia per la distruzione di camion dell’Onu. Nel conflitto ibrido anche l’assistenza ai civili è un’arma.

Roma. Gregg Carlstrom, corrispondente dell’Economist in medio oriente, martedì ha fatto una sintesi perfetta dello stato del cessate il fuoco in Siria, così: “Kerry dice che il matrimonio di Angelina Jolie e Brad Pitt non è morto”. Kerry, segretario di stato americano, aveva appena detto che “il cessate il fuoco in Siria non è morto”, ma il contrario sembra una verità autoevidente. In Siria c’è da tempo una guerra-dentro-la-guerra che riguarda gli aiuti alla popolazione civile, diventati uno strumento di pressione militare, di negoziazione diplomatica e di rappresaglia. Ora gli aiuti sono finiti anche al centro delle trattative tra Russia, America e governo siriano e sono cruciali per ogni ipotesi (remota) di pace.

 

Martedì le Nazioni Unite hanno bloccato tutti le spedizioni di aiuti in Siria dopo che lunedì un convoglio umanitario che avrebbe dovuto servire circa ottantamila persone vicino ad Aleppo è stato distrutto da un bombardamento. Testimoni oculari sentiti da Amnesty dicono che diciotto dei trentuno camion sono stati colpiti dall’alto e almeno dodici persone sono state uccise, incluso il capo della Mezzaluna rossa locale. Damasco e la Russia negano ogni responsabilità: Mosca sostiene che soltanto i guerriglieri conoscevano la posizione del convoglio e che non c’è nessuna prova che i camion siano stati bombardati, “sono semplicemente bruciati”. Tuttavia, le Nazioni Unite avevano preso accordi preventivi prima della partenza proprio per evitare questo genere di pericolosissimi fraintendimenti, i camion erano contrassegnati e c’è pure un video girato da un drone dell’esercito russo che li inquadra (il drone era in missione per controllare lo stato della tregua ormai interrotta).

 

Kerry dice che “è evidente” che la responsabilità del bombardamento contro il convoglio è della Russia e del governo siriano. Come nota la corrispondente a Beirut del Washington Post, Liz Sly, poche ore prima del bombardamento Kerry aveva detto che c’erano segnali incoraggianti sulla tenuta della tregua e aveva citato proprio “i primi camion con gli aiuti” che stavano entrando dal confine con la Turchia dove erano rimasti bloccati in attesa per giorni. Che quel primo convoglio sia stato colpito suona come una risposta brutale all’ingenuità dell’Amministrazione americana – che sull’arrivo degli aiuti si è impuntata – in particolare due giorni dopo una strage di soldati siriani in un’altra zona del paese, a Deir Ezzor, per colpa di un attacco militare americano finito fuori bersaglio per errore – ma che il governo siriano considera “intenzionale”.

 


John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (foto LaPresse)


 

La questione dei convogli di aiuti è pressante in Siria, dove si combatte una strana guerra che procede anche per assedi e per capitolazioni dovute alla fame. Il governo di Damasco è riuscito a eliminare alcune sacche di resistenza soltanto imponendo l’isolamento totale, ed è ovvio che in questo contesto tutte le decisioni su chi aiutare e dove assumono connotati politici e militari. Alla fine di agosto, inoltre, un’inchiesta del quotidiano britannico Guardian aveva svelato che le Nazioni Unite per far arrivare gli aiuti alla popolazione civile sono costrette a farli passare per i canali indicati dal governo siriano e a lavorare in una partnership obbligata con uomini vicini al presidente Bashar el Assad.

 

In questo modo soggetti che sono sulla lista delle sanzioni europee e americane – ma non su quelle dell’Onu – intascano una percentuale che il giornale dice di essere di “decine di milioni di dollari”. per questo motivo il 9 settembre settantrè gruppi umanitari internazionali hanno sospeso la collaborazione con le Nazioni Unite, accusate di essere troppo vicine al governo siriano, di tollerare che una parte degli aiuti sia saccheggiata dall’esercito, che l’accesso ad alcune aree sia bloccato e che gli aiuti diretti ad alcune aree assediate sino deviati verso aree sotto il controllo di Damasco.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)