Rupert Murdoch (foto LaPresse)

Murdoch spezza la depressione-Brexit e celebra l'evasione dall'Ue (siamo fuori!)

Paola Peduzzi
Il capo di News Corp esulta al Times Ceo Summit. E ribalta la visione corrente: questa uscita è “wonderful” e il mondo è pieno di possibilità di crescita da afferrare.

Londra. Siamo usciti di prigione, finalmente, “siamo fuori!”, ha detto Rupert Murdoch parlando al Times Ceo Summit, con l’aria soddisfatta di chi ha tifato per la Brexit e ora si gode la vittoria, anche se intorno il mondo teme di andare in frantumi, anzi forse un po’ pure per questo. All’evento che il quotidiano murdocchiano Times organizza da sette anni per far incontrare il mondo degli affari con quello della politica – l’anno scorso si era presentato il premier David Cameron trionfante, aveva appena stravinto le elezioni, parlò di “one nation conservatism” e di come il suo modello di governo fosse popolare – il clima non pareva quello gioioso degli evasi, anzi, tutti si passavano di mano in mano la pagina del Times, sezione Business, in cui c’era un titolo così: “Il ‘pagliaccio’ Boris è l’uomo più odiato della City”, con la foto dell’ex sindaco di Londra e i grafici disperanti dei crolli e delle previsioni da rivedere al ribasso. Il business non ama né la Brexit né i suoi leader, al punto che il ministro della Giustizia Michael Gove, attesissimo ieri, non si è presentato al Summit, assente senza giustificazione, dicevano alcuni indispettiti, quando la sua è la giustificazione più grande del mondo (i leader della Brexit passano già per dei codardi, non hanno un piano, non si vogliono far vedere: ai Comuni lunedì s’è fatta una gran polemica sull’assenza di Boris Johnson e molti hanno fatto circolare la notizia, falsa, che nemmeno Gove era presente. Era nascosto dietro lo speaker, non là davanti dove stanno i ministri del governo di Sua Maestà, però c’era).

 

Com’è nella sua natura il capo di News Corp. ha ribaltato la visione corrente sulla Brexit: questa uscita dall’Ue è “wonderful”, ha detto Murdoch, intervistato da un sorridente Tim Montgomerie, editorialista del Times che aveva deciso di schierarsi per la Brexit contro la linea del suo giornale e contro il suo passato da cameroniano di ferro. Il crollo della sterlina? Non è così grave, dice il tycoon, rende il Regno Unito più competitivo, c’è un “world of growth” là fuori, bisogna saperlo prendere, affidandosi anche agli americani, un accordo commerciale tra Washington e Londra “arriverà in un flash”. Murdoch ha incontrato, all’indomani della Brexit, Donald Trump: i due hanno cenato insieme al golf club di Aberdeen, in quello che è sembrato il suggello a un’intesa ritrovata, dopo mesi burrascosi. La Brexit e Trump sono figli della stessa insofferenza globale e non è un caso che Murdoch non abbia perso l’occasione della ribalta ieri per dire che se Hillary Clinton farà alle banche americane quel che ha annunciato, la City tornerà florida e felice in un baleno.

 

Certo, ci vogliono leader forti: se Boris Johnson farà dei passi indietro, dice Murdoch, la rivolta sarà “sanguinosa” – altro che pentimento, altro che secondo referendum, altro che calma e cautela. Secondo gli osservatori, lo Squalo non ama molto Boris Johnson e preferirebbe Gove come premier, “farebbe un bel lavoro nel guidare il paese”. Invece sul palchetto del Times è arrivato il cancelliere dello Scacchiere George Osborne che dopo tre giorni di silenzio ha ritrovato la voce – e la voglia di negoziare: vorrebbe fare il ministro degli Esteri nel governo che verrà – e ha detto che la decisione del popolo va ascoltata, che lui non vuole lasciare l’esecutivo in un momento di tanta difficoltà e che vorrebbe negoziare con l’Ue una soluzione che tenga il più possibile vicina Londra al mercato europeo – lo scenario cosiddetto “Norvegia plus” che fa imbestialire Bruxelles. Il mondo del Summit e anche quello fuori sono divisi sul cancelliere dello Scacchiere: dovrebbe andarsene subito, ha tuittato Montgomerie, “troppo allarmismo, troppi obiettivi non raggiunti”, mentre una delle paladine della Brexit, attivissima su Twitter, Louise Mensch, ex parlamentare-volto nuovo di Cameron, immagina già Osborne nel governo dei suoi sogni.

 

Molti esponenti della City in realtà si infastidiscono quando si parla di questo avvicendamento all’interno del Partito conservatore: aspettano un nuovo leader certo, questo Regno Unito che perde i suoi gestori non piace a nessuno, ma si sono convinti che il referendum sciagurato sia stato il frutto di una lotta di potere che ha lasciato il paese a pezzi. Quei pezzi che il sindaco di Londra, Sadiq Khan, si propone di ricomporre, ribadendo che la capitale resta una città aperta e chiedendo maggiori poteri: vuole poter aumentare le tasse e un controllo maggiore – quasi assoluto – dei servizi pubblici. Per quanto mi piacerebbe che Londra fosse una città-stato, ha detto Khan, “non sto parlando di indipendenza, non voglio mettere la dogana sulla M25”, l’autostrada che circonda la città, ma certo più poteri sono necessari, ce li hanno le altre grandi città, oggi sono per noi indispensabili. Chi si occupa di politica ha ridacchiato: un altro sindaco con aspirazioni nazionali, un altro sindaco pericoloso per il leader del suo partito, un altro sindaco che sogna l’indipendenza di Londra. L’alter ego laburista di Boris Johnson, insomma.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi