Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Chi osa sfidare Corbyn-che-non-molla? Il Labour (ri)cerca la svolta liberale

Paola Peduzzi
Il leader laburista sfiduciato alla grande dai suoi parlamentari non se ne va. Dove finiranno i voti del partito?

Londra. Alla conta del Labour, 172 parlamentari hanno votato contro il leader, Jeremy Corbyn: soltanto 40 lo vorrebbero ancora a capo del partito. Poiché la mozione di sfiducia non è vincolante, poiché lo statuto del Partito laburista prevede che queste mozioni possano essere ignorate, Corbyn ha subito rilasciato una dichiarazione ribadendo quello che va ripetendo da giorni: io non me ne vado. Sarebbe “un tradimento” di chi mi ha sostenuto, quel 60 per cento che lo ha eletto leader l’anno scorso, ha detto Corbyn sospendendo il senso del ridicolo – oggi l’80 per cento è contro di lui – e ha aggiunto che “il Labour ha la responsabilità di guidare il paese laddove il governo (conservatore, ndr) non lo fa”. La stragrande maggioranza del partito non vuole Corbyn, aspira a un altro leader, a un’altra visione, vorrebbe averci pensato prima, perché magari con un partito Labour solidamente europeista la Brexit non ci sarebbe stata.

 

Il tempo dei rimpianti potrebbe non finire mai in questa sinistra sotto choc ma intanto si guarda avanti, e se è vero che ci saranno le elezioni anticipate è necessario creare una leadership che perlomeno goda del sostegno dei suoi parlamentari. Mentre il team di Corbyn faceva sapere che “nulla cambia” e che si va avanti “business as usual” – si deve essere abituato alla sfiducia, la combatte facendo finta che non esista – i commentatori si interrogavano sul futuro: per sfidare la leadership di Corbyn un altro candidato deve raccogliere 50 firme dei parlamentari, ma chi farà il grande passo? Il vice Tom Watson, che aspetta il suo momento da sempre, o Andy Burnham, che naviga a vista da tempo per acciuffare l’attimo dell’azzardo, o Angela Eagle, che si è dimessa due giorni fa da ministro ombra, piangendo?

 

L’ostinazione di Corbyn ha un che di surreale e per ore martedì si sono rincorse le voci di chi diceva che qualcuno stava cercando di convincerlo, che qualcuno addirittura pensava di riuscire a fargli capire che il futuro del Labour, con lui, è compromesso. Ma la supercitata biografia di Corbyn scritta da Rosa Prince descrive due caratteristiche del leader laburista che ora risplendono come non mai: è cocciuto e tra i suoi ideali e quelli del partito sceglierà sempre i primi. Questo spiega il conflitto permanente tra Corbyn e buona parte del Labour e spiega anche l’isolamento cui si è costretto Corbyn durante la campagna referendaria: non gli interessava salvare il partito, il suo elettorato, il paese, gli interessava ribadire che l’Europa è tutta da rifare perché ha tradito i suoi popoli, come dice il francese sinistrorso Arnaud Montebourg, ex ministro dell’Economia in asse con l’economista Thomas Piketty, riecheggiando, malgré soi, le parole della leader del Front national Marine Le Pen.

 

Mentre i sostenitori di #SavingLabour invitavano a raccogliere online altra sfiducia e il super spin doctor di Tony Blair Alastair Campbell si faceva intervistare dalla Bbc per dire che il Labour ha bisogno di un leader forte se vuole vincere adesso, un leader liberale e riformatore, i sindacati si univano attorno a Corbyn, rapidissimi. Len McCluskey, capo di Unite, il principale sostenitore finanziario di Corbyn, ha detto che nulla cambierà, e che anzi è piuttosto fastidioso vedere il partito che si spezza sotto i colpi di parlamentari “egoisti e infantili”. Nella gara di chi fa più capricci, mentre si aspetta se il tanto chiacchierato golpe all’interno del Labour esiste e ha un comandante, YouGov pubblica una rilevazione commissionata dal partito stesso che dice che il 27 per cento degli elettori laburisti non è sicuro di votare ancora per il Labour dopo l’esito del referendum. Ma questo esodo di delusi dalla Brexit dove approderà? I redivivi liberal-democratici cercano di approfittare dell’implosione altrui, avendo già vissuto la loro: l’ex capo dei Lib-Dem Nick Clegg ha provato a immaginare, scrivendo sull’Evening Standard, una road map eurofila per il negoziato con Bruxelles e per il nuovo governo, mentre negli ultimi giorni ci sono stati ottomila nuovi iscritti liberaldemocratici.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi