Perché non si può far ragionare Podemos

Eugenio Cau
La sindrome-Bersani e la frustrazione del leader socialista spagnolo Sánchez, che cerca senza risultati di parlare con gli intransigenti

Il leader del Partito socialista spagnolo, Pedro Sánchez, è frustrato. A quattro mesi esatti dalle elezioni politiche che hanno consegnato il paese all’immobilismo, dopo mesi di negoziati sfibranti e alla vigilia delle consultazioni della prossima settimana, convocate dal re Felipe VI come ultima speranza prima delle elezioni anticipate, Sánchez non sa più chi incolpare per il crollo dei negoziati. Il re gli ha affidato l’incarico di formare il governo oltre due mesi fa, e lui ha cercato di barcamenarsi tra i centristi ragionevoli di Ciudadanos, con cui ha stipulato un patto di legislatura, e i sinistrorsi arrabbiati di Podemos, entrambi indispensabili per la formazione del “governo di cambiamento”. Ha deciso di ignorare volutamente i richiami continui del premier facente funzioni Mariano Rajoy, del Partito popolare, a un governo di unità nazionale, ma nonostante settimane durissime di contrattazioni tutti i suoi tentativi sono falliti.

 

Questa settimana, poi, gli intransigenti di Podemos hanno dato il colpo finale ai suoi progetti di governo. Con un referendum interno, gli iscritti hanno votato in gran maggioranza contro la proposta di governo socialista, chiudendo così la porta al dialogo. E così alla fine, dopo mesi di equilibrismi, abboccamenti e incontri più o meno umilianti, Sánchez è scoppiato. Prima l’ha detto in una riunione a porte chiuse con i dirigenti del partito, poi è andato davanti ai giornalisti ad accusare Podemos di aver bloccato tutti i tentativi di formare un governo, e le sue invettive ricordano quelle inutili rivolte al Movimento 5 stelle dal leader del Pd Pier Luigi Bersani all’indomani delle ultime elezioni italiane.

 

C’erano già state schermaglie nelle settimane scorse, soprattutto durante il dibattito parlamentare che aveva portato al fallimento del primo voto di fiducia per il governo Sánchez, ma questa settimana il segretario socialista, che secondo i media spagnoli ha ormai perso la speranza di raggiungere un accordo, ha attaccato direttamente il leader di Podemos, Pablo Iglesias.

 

“Tutto dipende da una persona, non da un partito, perché sono convinto che Podemos e i suoi elettori, soprattutto, desiderino un governo del cambiamento, un governo progressista presieduto da un presidente socialista”, ha detto Sánchez ai giornalisti, reiterando il concetto più volte: il “problema” è Iglesias. Il tentativo, forse, è quello di far leva sulle ben note divisioni interne a Podemos, e sulla fronda interna al suo leader che vorrebbe una posizione più dialogante con gli altri partiti. Ma le dichiarazioni di Sánchez, più probabilmente, non faranno che solleticare l’intransigenza degli antisistema, che ormai, è evidente, puntano ad andare a nuove elezioni rivendicando di essere stati gli unici a non scendere mai a compromessi, e forse preparano un’alleanza elettorale con l’ultrasinistra di Izquierda Unida per cercare di superare il Psoe come principale forza politica della sinistra spagnola. In Italia già lo sappiamo: lanciare appelli alla ragionevolezza alle forze antisistema peggiora soltanto le cose.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.