Pablo Iglesias (foto LaPresse)

Podemos? Perdemos

Eugenio Cau
La misura della crisi di Podemos sta nella disperazione dei suoi leader. Pablo Iglesias, per esempio, si è sottoposto lunedì sera al circo della televisione generalista spagnola, partecipando a “El Hormiguero”, programma di news e umorismo di gran successo presentato da Pablo Motos.

Roma. La misura della crisi di Podemos sta nella disperazione dei suoi leader. Pablo Iglesias, per esempio, si è sottoposto lunedì sera al circo della televisione generalista spagnola, partecipando a “El Hormiguero”, programma di news e umorismo di gran successo presentato da Pablo Motos e da tre marionette di peluche a forma di formica. Le ha fatte tutte, Pablo, lui che è sì un animale televisivo, ma tribuno delle folle nei programmi di opinione, non ospite in quelli di intrattenimento. Ha riso ed è stato al gioco del conduttore, ha suonato con il tamburo la colonna sonora di “Game of Thrones”, ha inscenato una riconciliazione un po’ farlocca con il numero due del partito, Iñigo Errejón, con il quale da un mese ha aperto una faida tremenda per la spartizione del potere. La crisi di Podemos è iniziata pochi giorni dopo il 20 dicembre scorso, quando alle elezioni il partito che doveva conquistare la Spagna è arrivato tre e ha sbagliato tutte le mosse nei difficilissimi negoziati per un nuovo governo, si è diviso e ha litigato, ha mostrato intransigenza e poca disponibilità al dialogo, e infine è crollato nei sondaggi. Insomma, davanti alla prova della responsabilità, Podemos si sta squagliando. La comparsata in tv avrebbe dovuto lanciare l’evento di domani, il primo incontro a tre per discutere della formazione di un governo progressista tra lo stesso Iglesias, il leader del Partito socialista Pedro Sánchez e quello di Ciudadanos Albert Rivera. Ma proprio mentre Iglesias era in tv una nuova notizia rovinava i piani di Podemos, e ne ampliava la crisi. Il giornale conservatore Abc ha scovato dei documenti che provano una volta per tutte i finanziamenti a Podemos del regime venezuelano. Sette milioni di euro, elargiti per rendere la Spagna “affine al governo bolivariano”.

 

I finanziamenti, si legge in un documento datato 28 maggio 2008 e firmato di proprio pugno dal caudillo Hugo Chávez, sarebbero arrivati alla Fondazione Ceps, organizzazione da cui è nato Podemos e in cui militavano tutti i suoi leader politici attuali. Di petrodollari venezuelani e iraniani giunti in maniera più o meno lecita a Podemos si parla da tempo, in Venezuela ci sono ben due inchieste in corso, ma è appunto la giustificazione dei finanziamenti a impressionare: i soldi servivano a “creare un consenso di forze politiche e movimenti sociali per propiziare in quel paese (la Spagna) un cambiamento politico più affine al governo bolivariano”. Insomma, l’idea era di instaurare un regime socialista e chavista nel cuore dell’Europa. “E’ un progetto che i dirigenti di Podemos non hanno mai abbandonato”, dice al Foglio Javier Chicote Lerena, il reporter di Abc che ha scovato i documenti. “Durante la campagna elettorale Iglesias e i suoi hanno mostrato un volto moderato che ha consentito loro di ottenere cinque milioni di voti, ma, come lo stesso Iglesias ha teorizzato in alcuni scritti poco diffusi in Spagna, la moderazione è solo un mezzo per arrivare al potere e dare il via a una trasformazione del paese in senso bolivariano. Podemos è e rimane un partito modellato a immagine e somiglianza di un governo semidittatoriale”.

 

Per Iglesias, presentarsi ai colloqui per la formazione del governo dopo che un documento autografo di Hugo Chávez lo qualifica come avanguardia ben pagata del chavismo in Spagna non è il miglior biglietto da visita. “Le rivelazioni rafforzano la posizione del centrista Rivera, che cerca di scongiurare la formazione di un governo in cui sia presente Podemos o che sia votato da Podemos. Ciudadanos avrà buon gioco nell’allentare il legame tra Sánchez e Iglesias”, dice Chicote. Si rafforza così l’idea, cresciuta durante tutta la campagna elettorale, che Podemos sia un interlocutore massimalista e inaffidabile, e in una parola “unfit” per la formazione di un governo. La parabola elettorale del movimento rischia di diventare un esempio per tutti i movimenti populisti d’Europa, e inizia a rivelarsi anche nei numeri. Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati dal Mundo, se si votasse oggi Podemos sarebbe al 16,2 per cento dei consensi, quasi cinque punti in meno del 20,7 ottenuto alle elezioni. Podemos perde punti in favore del Partito popolare del premier facente funzioni Mariano Rajoy, che da settimane ormai ha deciso di aspettare il naufragio della scialuppa progressista, e dei centristi Ciudadanos. “Podemos è arrivato dal niente ad avere 69 seggi in Parlamento”, dice Chicote. “Questo significa potere e denaro, ma anche lotte interne e corruzione. Tempo due o dieci anni, alla fine il meccanismo si romperà”.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.