L'alleanza fra Trump e Christie spegne le speranze di Rubio

Il candidato dell'establishment è stato risucchiato nella dimensione del passato quando Trump ha portato sul palco un nuovo alleato: Chris Christie.

New York. C’è stato un momento, all’incirca dodici ore fra giovedì notte e venerdì mattina, in cui Donald Trump è stato vulnerabile. Nel dibattito televisivo di Houston, Marco Rubio – con l’aiuto di Ted Cruz – s’era deciso a fare quello che nessun repubblicano aveva voluto o era stato capace di fare fin qui: togliere ossigeno all’avversario, stordirlo, sfotterlo, parlargli sopra, “negandogli la possibilità di far atterrare sul palco le sue battute”, come aveva scritto un po’ sollevato il columnist conservatore Ross Douthat, un simpatizzante di Rubio e antagonista delle paturnie anti establishment. Ieri mattina Rubio ha continuato a improvvisare sullo stesso spartito. Sul palco di Dallas ha preso il suo smartphone e ha letto fra le risate del pubblico gli strafalcioni fatti da Trump su Twitter, dove nel solito momento d’incontinenza ha scritto “honer” per “honor” e ha preso “chocker” per “choker”, e ha perfino cancellato e corretto lo spelling, cosa che nel linguaggio dei segni politici di Trump equivale a un passo indietro, un’inedita mossa difensiva.

 

Insomma, per dodici ore l’oggetto della discussione è stato: Rubio è riuscito a spezzare almeno per un attimo l’incantesimo populista, sarà sufficiente? Quel che resta del partito repubblicano riuscirà ad approfittare di questo momento in cui, come in un vecchio videogioco, Trump non ha lo schermo dell’invulnerabilità? Alcuni dicevano di sì, altri di no. Ma questo dibattito – importante, serio –  è stato istantaneamente risucchiato nella dimensione del passato quando Trump ha portato sul palco un nuovo alleato: Chris Christie. Definirlo colpo di scena significa sottostimare drasticamente le capacità trumpiane di capire, anzi di dominare, il ciclo delle news, di controllare il ritmo del reality show elettorale. Le dodici ore di luce per l’establishment repubblicano sono state inghiottite dalla notte di Trump, che ha stretto un patto d’acciaio con l’unico fra i candidati che fin qui è stato in grado di produrre attacchi efficaci contro gli avversari, soltanto che le vittime sacrificali della sua furia Jersey-style sono stati soprattutto Rubio e Jeb Bush. E’ stato Christie, in New Hampshire, a propiziare con il suo eloquio da procuratore il devastante mito del Rubio Robot, il meccanismo che ripete ad libitum le lezioncine imparate a memoria. Christie, a dire la verità, era stato duro anche contro Trump, specialmente quando si trattava della chiusura dei confini ai musulmani, ma questa è la logica degli endorsement in corsa elettorale, amplificata da una sfida repubblicana in cui il principio della coerenza politica è anche più sbiadito del normale. Non si può andare troppo per il sottile con Trump, uno che il giorno prima di accogliere Christie ha ricevuto l’endorsement di David Duke, l’ex capo del Ku Klux Klan, e quando i cronisti in conferenza stampa gliel’hanno ricordato – sembrava non saperlo nemmeno – lui ha liquidato la notizia: “Lo disconosco”.  Gli uomini di Christie motivano la manovra con ovvie ragioni. Trump in questo momento è il candidato inevitabile, il Super Tuesday di martedì prossimo potrebbe sigillare in modo quasi definitivo la nomination, il partito è lacerato e frammentato a tutti i livelli, e se c’è una cosa di cui Trump ha bisogno per fare della sua campagna populista un vero sistema verso le elezioni generali è un punto di contatto con l’élite repubblicana. Ha bisogno di persone che sanno come funzionano gli ingranaggi della politica, e Christie ha questa expertise. Cosa otterrà in cambio? Forse una nomination come vicepresidente, più realisticamente la promessa del posto da procuratore generale in caso di vittoria.

 

[**Video_box_2**]Qualunque sia il patto politico dietro all’accordo che ha fatto cambiare la dinamica elettorale, per Christie si tratta di una disperata resurrezione dopo che negli ultimi quattro anni è passato da fulgida promessa dei conservatori ad alleato dei democratici, finendo poi nei panni del vendicativo politico di respiro locale invischiato in uno scandalo di quelli che tendono a capitare spesso in New Jersey. Gli è rimasta la fibra e la vis polemica, ma lo status era da ricostruire. La campagna è stata avara con lui, finché non ha incontro il gemello diverso Trump. I due sono animali politici di razza diversissima, ma le consonanze stilistiche e attitudinali ci sono tutte, e per questo la combinazione è letale per gli avversari. Newt Gingrich, che è stato terribile candidato presidenziale ma due o tre cose su come funziona Washington le sa, ha detto che questa alleanza segna “l’inizio della fine” per gli avversari del magnate populista. Mentre dal palco Trump e Christie annunciavano la guerra totale contro Rubio, (“ho chiamato Cruz un bugiardo, adesso chiamerò così anche Rubio!”) le dodici ore che hanno dato qualche speranza ai candidati dell’establishment conservatore sono esaurite, la mezzanotte è scoccata e la carrozza di Rubio si è trasformata in una zucca. Douthat, che cinguettava speranzoso di possibili rinascite, seppur tardive, dell’esercito della ragionevolezza repubblicana, si è trovato a ripetere le parole di Frodo dopo la distruzione dell’anello: “Sono felice che tu sia qui con me. Qui, alla fine di ogni cosa, Sam”.