Marco Rubio e Donald Trump (foto LaPresse)

Rubio si trasforma in Trump per bastonare Trump

Ieri nuovo dibattito tra i repubblicani a Houston. "The Donald" sbeffeggiato dal rivale

Nel dibattito fra i candidati repubblicani di ieri sera, a Houston, è accaduto l’inedito: Marco Rubio ha attaccato Donald Trump. Non ha però dato voce ai suoi ragionevoli disaccordi circa i contenuti politici, questo si era già visto e Trump aveva sepolto il robotico stump speech con una pioggia di guaiti meno strutturati ma più persuasivi, ma lo ha aggredito, sfottuto, beffeggiato, ha preso in giro il suo parlare vacuo e il suo presunto carnet di vittorie da businessman, ha fatto il troll interrompendo e parlandogli sopra, gli ha detto che senza i 200 milioni ricevuti in eredità da suo padre oggi “venderebbe orologi a Manhattan”, lo ha accusato di aver assunto contractor stranieri per un progetto in Florida, poi ha divagato, ha sibilato cattiverie a mezza voce, ha aggredito sull’università “finta” di Trump e ha tirato fuori una vecchia frode dell’avversario in Polonia. “Sì sì, è successo 38 anni fa”. “Evidentemente c’è la prescrizione sulle bugie”, è stata la risposta.

 

Quello che per una volta ha messo sotto il dominatore di queste primarie era tutto il contrario di Rubio Robot, anzi, ha pure incalzato Trump accusandolo di ripetersi come un disco rotto. Risposta memorabile: “Non mi sto ripetendo. Non mi sto ripetendo”. Insomma, Rubio ha preso l’arte di confondere le intorbidare del Donald e l’ha usata per offuscare il suo brand vincente. Si è ufficialmente sintonizzato sul canale comunicativo di Trump. Non sempre ha detto cose sensate o particolarmente scaltre, ma nel registro fissato da Trump tutto fa brodo, nulla è memorabile, tutto può essere riformulato e contraddetto, la vittoria si misura in quella frazione di secondo che muove l’inconscio dell’elettorato, quell’impalpabile impressione che fa la differenza fra il vincente e il perdente. Un dito indice fatto roteare per sfottere l’avversario più essere più efficace di mille discorsi per certificare la lealtà verso Israele. A un certo punto sembrava di essere su Twitter, con la sua anarchica incoerenza e la difficoltà intrinseca nello sviluppare qualunque ragionamento con più di due passaggi. Le riflessive intromissioni di John Kasich e le dadaiste uscite di Ben Carson sull'insalata di frutta e altre amenità hanno contribuito al clima da social.

 

[**Video_box_2**]Wolf Blitzer, espertissimo moderatore della Cnn, in un paio di occasioni ha perso il controllo, ma provateci voi a moderare una tale ginepraio. E’ triste che a questo si sia ridotta la campagna repubblicana? Forse. Ma finora l’altra strategia, aggredire il trumpismo con la politica, scardinarlo con il principio di non contraddizione, aiutandosi addirittura con il ragionamento, ha dato a Trump vittorie e a tutti gli altri sconfitte. In particolare a Rubio. Il senatore della Florida non ha agito da solo, si è poggiato talvolta su Ted Cruz, con il quale ha bettibeccato per contratto, certo, ma non era difficile capire che l’obiettivo supremo era danneggiare il Donald. Su questo aspetto è venuto fuori anche il limite dell’iniziativa rubiana: essendo un tentativo disperato, tardivo, un sussulto dopo tante ripetizioni inefficaci, è anche apparso come tale. Se sarà efficace si vedrà molto presto, al Super Tuesday di martedì.