Julian Assange nell'ambasciata dell'Ecuador (foto LaPresse)

Secondo l'Onu Assange merita pure un rimborso

Maurizio Stefanini
Un panel di esperti onusiani dichiara "arbitraria" la detenzione del fondatore di Wikileaks. Il ruolo di Amal Clooney e la scommessa sul presidente ecuadoriano Correa

E’ probabile che ci sia anche Amal Alamuddin Clooney tra gli ideatori della strategia che sta dando una improvvisa svolta alla vicenda di Julian Assange, dopo tre anni di volontaria autoreclusione nell’ambasciata ecuadoriana di Londra. Ma è altrettanto probabile che c’entri qualcosa una brusca sterzata nella situazione politica ed economica dell’Ecuador, nella cui ambasciata londinese Assange si rifugia da anni. Forse l’avvocatessa più famosa del mondo dopo il suo matrimonio con il divo hollywoodiano, certamente la più pagata del Regno Uniti con le sue tariffe da 700 euro l’ora, la 37enne libanese è un nome di punta di quello studio Doughty Street Chambers a cui il fondatore di Wikileaks si è affidato.

 

Sul sito di Wikileaks mercoledì era apparso un video di Amal che spiegava come funziona lo United Nations Working Group on Arbitrary Detentions (Unwgad) che oggi ha definito la detenzione di Assange “illegale”.

 

Il capo del gruppo Onu, Seong-Phil Jong, ha detto venerdì in un comunicato che quella di Assange deve essere considerata una forma di “detenzione arbitraria”, che il capo di Wikileaks deve essere liberato e deve essergli assicurato il diritto di chiedere una compensazione per la sua libertà negata.

 

“Se l'Onu annuncerà che ho perso la mia causa contro la Gran Bretagna e la Svezia, uscirò dall'ambasciata per essere arrestato dalla polizia britannica”, aveva promesso a inizio settimana il fondatore di Wikileaks. “Al contrario, se verrà riconosciuto che gli stati coinvolti hanno agito illegalmente, mi aspetto la restituzione immediata del mio passaporto e la fine di tutti i nuovi tentativi di arresto”. In realtà la decisione del Panel non ha carattere vincolante per la Giustizia britannica.

 

C’è però anche un altro fattore che può aver portato Assange a scommettere sulla sentenza dell’Onu. E’ il rapido deterioramento della posizione del presidente ecuadoriano Rafael Correa, il suo grande protettore. “Chicago Boy di Sinistra” per sua stessa definizione, l’economista presidente dell’Ecuador ha gestito per molti anni un modello che pur richiamandosi agli slogan del “socialismo del XXI secolo” di Chávez, seguendone gli orientamenti geopolitici e riprendendone i tic autoritari ha però evitato sia la cattiva gestione dell’economia sia l’eccessiva dipendenza dal petrolio. L’Ecuador ha così avuto una crescita sostenuta e Correa  è stato ribattezzato il “Giaguaro delle Ande”. Oggi però l’Ecuador è entrato in recessione. Correa ha iniziato a dover prendere misure impopolari e il suo consenso si è drasticamente ridotto.

 

[**Video_box_2**]Correa ha fatto cambiare la Costituzione per permettere la ricandidatura presidenziale a oltranza, ma lui insiste che nel 2017 non si ripresenterà e che andrà invece a vivere in Belgio, dove ha studiato e da cui proviene sua moglie. In molti non gli credono, ma altri pensano che da economista si renda conto dell'avvicinarsi della crisi e che cerchi dunque di farla scoppiare in mano a qualcun altro. Scenari che suggeriscono che presto l’Ecuador avrà da pensare a ben altro che a continuare a proteggere Assange.

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