Un Harrier americano pronto al decollo

I conti dei bombardamenti obamiani contro Baghdadi non tornano

Daniele Raineri
Dopo un anno di raid aerei, il numero di combattenti dello Stato islamico è lo stesso di un anno fa. E altri misteri

Roma. Mercoledì un portavoce del Pentagono, il colonnello Steve Warren, ha detto che lo Stato islamico ha “tra i ventimila e i trentamila combattenti in Iraq e in Siria”, secondo le migliori stime della Difesa. Il problema, come fa notare Aaron Kliegman del sito Washington Beacon, è che si tratta della stessa stima data nel settembre 2014 dalla Cia, un mese dopo l’inizio dei bombardamenti contro lo Stato islamico. L’intelligence americana disse che il gruppo poteva contare su un numero di combattenti stimato tra i ventimila e i trentunomilacinquecento. Ora, la cosiddetta body count, la conta delle perdite inflitte al nemico, è stata abbandonata sin dagli anni del Vietnam come una misura inefficace per dire chi sta vincendo una guerra e la Difesa americana non pubblica più le stime delle perdite inflitte al nemico, perché le ritiene non importanti e anche in qualche caso ingannevoli: non si vince facendo molti morti, specie in contesti come quello di Siria e Iraq, dove conta invece portare la popolazione dalla propria parte e isolare i guerriglieri. Ma se l’operazione americana ha lo scopo di distruggere lo Stato islamico, dopo un anno c’è qualcosa di sbagliato nei dati o nelle premesse. Il primo gennaio i combattenti curdi dello Ypg, le unità di difesa popolare, hanno pubblicato le statistiche di un anno di guerra: dicono di avere ucciso circa seimila combattenti nemici, quasi tutti dello Stato islamico. A ottobre una fonte del Pentagono aveva fissato il numero dei combattenti dello Stato islamico uccisi dalle missioni americane a ventimila, un ulteriore aumento dai quindicimila di luglio. A dicembre il presidente americano, Barack Obama, ha detto che gli aerei stanno colpendo il gruppo “come  mai prima”.

 

L’anno finito è stato un anno di guerra intensa per gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi. L’attrito, come si dice nell’orrido gergo della guerra, è stato altissimo: dalla battaglia di Kobane, sul confine tra Siria e Turchia, dove gli aerei da guerra hanno fatto il tiro al bersaglio contro le squadre dello Stato islamico mentre avanzavano su un terreno spoglio e senza case, fino a quella di Ramadi, che i soldati iracheni stanno vincendo anche grazie alle bombe americane, passando per la disfatta di Sinjar, sempre in Iraq. Ci sono state senz’altro perdite ingenti, quindi qualcuno si sta sbagliando. O le stime iniziali erano molto più basse della realtà, o il colonnello Warren sta esagerando oggi il numero di combattenti ancora attivi, oppure – tertium datur – lo Stato islamico continua a ricevere un numero molto alto di volontari e rinforzi freschi. Quest’ultimo dato appare però un po’ debole, perché gli arrivi stanno rallentando secondo le fonti che parlano ai media da dentro lo Stato islamico. Non ci sono più i numeri di reclute di un anno fa. E’ probabile che tutte e tre le cose siano vere.

 

[**Video_box_2**]I numeri non possono raccontare un conflitto, ma senz’altro aiutano a farsi un quadro più preciso e meno aderente ai pezzi di narrativa sciatta che circolano. Ramadi è un esempio: è stata liberata, ma ancora venerdì il Pentagono diceva in un suo rapporto che gli aerei “nel giro delle ultime ventiquattr’ore hanno colpito sedici postazioni di combattimento, undici arsenali per fabbricare bombe, tre aree di manovra, e numerosi altri posti di interesse militare occupate dallo Stato islamico nell’area di  Ramadi”. Decine di bombe. Dire che là i combattimenti sono terminati è prematuro, anche se ci sono stati festeggiamenti ufficiali. Saranno i prossimi mesi a contare davvero. Un altro dato interessante è quello dei bombardamenti inglesi in Siria, costati al primo ministro David Cameron un voto in Parlamento connotato da ansia e lacerazioni politiche. In realtà i bombardamenti inglesi finora sono stati quattro e il loro apporto al conflitto è stato definito “inesistente”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)