Donald Trump (foto LaPresse)

Una strategia nel caos

Così Trump costringe l'America a sintonizzare il dibattito sul suo ciuffo

Il re dell’avanspettacolo vince imponendo il suo ego. Il Gop fa contenimento, Ted Cruz prepara il contrattacco. Terrore, sondaggi e boutade

New York. Ieri un articolo del Washington Post raccontava di una cena a porte chiuse convocata da Reince Priebus, capo del Partito repubblicano, con una ventina di maggiorenti del mondo conservatore. Tema: come arginare Donald Trump. Non si tratta soltanto di chiacchiere sul contenimento mediatico del personaggio, ma di studiare una strategia puntuale nel caso il partito arrivi alla convention di luglio, a Cleveland, senza che le primarie abbiano espresso un candidato. La “brokered convention” è un’eventualità rara nella politica americana, ma non è una circostanza impossibile, specialmente con un parterre di candidati affollato e con un Trump che può allungare a tempo indeterminato la vita della sua campagna attingendo da fondi personali. Il partito non può permettersi di attraversare la stagione delle primarie senza un’alternativa praticabile al ciuffo più folle d’America. Raccontano così di un Mitch McConnell, leader dei senatori repubblicani e incarnazione dell’establishment, che soppesava in silenzio i consigli dei pesci grossi del partito riuniti a tavola. Il consesso si è riunito proprio nel giorno in cui la campagna di Trump ha fatto un salto di qualità introducendo l’idea di chiudere le frontiere americane ai musulmani. Sull’onda della strage di San Bernardino, seguita da un inusuale discorso alla nazione di Barack Obama dallo Studio ovale, il terrorismo è tornato fra le prime “issue” nell’agenda degli elettori. Un sondaggio di New York Times e Cbs dice che il terrorismo è il problema più importante per il 19 per cento degli americani, dato che non si riscontrava dai mesi successivi all’11 settembre. Un mese fa soltanto il 4 per cento la pensava così.

 

Il Trump che promette selezione religiosa all’ingresso e moschee monitorate è, fra i repubblicani, quello che il 40 per cento di elettori conservatori percepisce come più affidabile per combattere il terrorismo. Ted Cruz è una decina di punti più indietro, e il divario è anche più vasto nei sondaggi generali. La proposta di Trump non ha soltanto riempito destra e sinistra di sentimenti di sincera indignazione civile e morale, ma ha fatto affiorare l’idea che la fase adolescente della campagna di Trump abbia lasciato il posto a qualcosa di simile a un’età adulta. La maggior parte dei competitor repubblicani lo ha disconosciuto e insultato per un’idea che ha fatto rabbrividire anche Dick Cheney, ma poi gli altri candidati erano reticenti ad articolare le loro posizioni nel dettaglio e così a ingombrare con il suo ego smisurato i canali all news è stato sempre lui. Trump che insulta Obama, Trump con l’aquila reale, Trump che fustiga gli avversari su Twitter. Ne è venuta fuori l’immagine di un candidato che non ha paura di dire verità politicamente scorrette ai media mainstream, miele per le orecchie di una fetta di elettorato biliare e sospettosa. Cruz, che si rivolge a un tipo conservatore troppo simile a quello di Trump per volere una guerra aperta a questo punto, ha detto a una cena privata con i finanziatori che il vaudevilliano avversario non dispone del “giudizio” che serve a un commander in chief. Il contrattacco è stato immediato: “Sembra che Cruz si stia preparando ad attaccare. Sono davanti di così tanto che gli tocca farlo. Spero lo faccia, fallirà come tutti gli altri. Sarà facile!”.

 

[**Video_box_2**]Anche Hillary Clinton, che di solito rideva strategicamente ogni volta che si parlava di Trump, ora ha smesso di buttarla sul registro dell’ironia e dello sfottò: la sua proposta anti islamica “non è solo vergognosa, ma è pericolosa”, ha detto. Alcuni repubblicani che di Trump non sono tifosi, hanno preso a smontare l’argomento di Trump per mostrare che dietro l’ovvia coltre di assurdità qualcosa di sensato c’è. Ieri Rudy Giuliani in un editoriale apparso sul Wall Street Journal invitava a “chiamare le cose con il loro nome”, pur senza dare credito a Trump. Portando al parossismo una boutade, il maestro dell’avanspettacolo americano ha fatto una nuova piroetta in avanti, costringendo alleati e avversari a rispondere, a sintonizzarsi sulle sue frequenze, fino al punto in cui i pretoriani del conservatorismo preparano argini per la marea che verrà, se verrà. Se anche Trump non vincerà, il caotico metodo Trump ha già vinto.