Il ministro degli Esteri ombra del Labour inglese Hilary Benn (foto LaPresse)

Benn detto

Paola Peduzzi
Il ministro degli Esteri ombra Hilary Benn spiega, da sinistra e con un discorso fantastico, perché il Regno Unito deve bombardare in Siria per distruggere il fascismo dello Stato islamico. Ieri il voto ai Comuni e i primi strike inglesi.

Hilary Benn è il ministro degli Esteri ombra di Jeremy Corbyn, leader del Labour britannico. Durante il dibattito parlamentare che ha portato al voto a favore dell’allargamento delle operazioni britanniche in Siria (con l’appoggio di 66 laburisti), Benn ha tenuto il discorso più applaudito e più citato di tutta la giornata. Un laburista che vuole combattere i fascisti dello Stato islamico, era un po’ che non se ne vedevano. Corbyn nei giorni scorsi non voleva che Benn parlasse, voleva essere lui l’unico dello shadow cabinet a dire la linea, che come si sa è contraria ai bombardamenti in Siria. Benn fin da subito si è scontrato, ha detto che il ministro degli Esteri ombra “deve” parlare in momenti come questi, e che aveva anche molto da dire. Ha vinto Benn, e questo è il suo discorso, scritto nel pomeriggio durante il dibattito parlamentare, poi detto con una passione che nessuno ha avuto. Hanno applaudito tutti, tranne Corbyn.

 

Grazie Mr Speaker. Prima di rispondere al dibattito, vorrei dire una cosa al primo ministro: pure se io e il mio amico e leader dell’opposizione (Jeremy Corbyn, ndr) andremo in direzioni diverse questa sera, sono fiero di parlare dalla stessa Despatch Box (il podio da cui si tengono i discorsi parlamentari) in cui ha parlato lui. Il leader del Labour non è un “simpatizzante dei terroristi”, è onesto, ha dei princìpi, è un uomo di grande dignità e credo che il primo ministra debba rammaricarsi di quel che ha detto e di quel che non è riuscito a fare oggi, che sarebbe stato semplicemente dire: “I’m sorry”.

 

Ora Mr Speaker, abbiamo assistito a un dibattito intenso e appassionato, e questo è giusto considerata la chiara e imminente minaccia proveniente da Daesh, considerata la gravità della decisione che abbiamo sulle spalle e sulle coscienze e considerate le vite che teniamo per mano questa sera. Qualsiasi decisione raggiungeremo, spero che ci tratteremo tutti con rispetto. Abbiamo ascoltato discorsi bellissimi e mi dispiace non averli potuti seguire tutti. La domanda cui dobbiamo rispondere in questo conflitto davvero molto complesso è al suo cuore molto semplice. Che cosa dobbiamo fare, assieme agli altri, per affrontare una minaccia per i nostri cittadini, il nostro paese, gli altri paesi e le persone che soffrono sotto il giogo, il crudele giogo, di Daesh? Il massacro a Parigi ci ha portato in casa il pericolo chiaro e attuale che ci pone Daesh. Sarebbe potuto accadere a Londra, Glasgow, Leeds o Birmingham, e ancora può accadere. Penso che abbiamo il dovere morale e pratico di estendere le operazioni militari che già facciamo in Iraq anche alla Siria. Sono anche convinto, e lo dico ai miei colleghi, che le condizioni poste nella risoluzione d’emergenza adottata dal Labour alla conferenza di partito di settembre sono soddisfatte.

 

C’è una risoluzione dell’Onu chiara e senza ambiguità, la 2249, paragrafo 5, che chiede specificatamente agli stati membri di adottare tutte le misure necessarie per raddoppiare e coordinare gli sforzi in modo da prevenire e sopprimere atti terroristici commessi dallo Stato islamico, e per sradicare le roccaforti che Daesh ha creato in molte parti dell’Iraq e della Siria.

 

Le Nazioni Unite ci chiedono di fare qualcosa. E ci chiedono di farlo ora. Ci chiedono di operare in Siria come già facciamo in Iraq. E fu un governo laburista che contribuì alla fondazione delle Nazioni Unite alla fine della Seconda guerra mondiale. Perché lo facemmo? Perché volevamo che i paesi di tutto il mondo, lavorando assieme, potessero gestire le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale – e Daesh è senza dubbio questa minaccia.

 

Visto che le Nazioni Unite hanno adottato questa risoluzione, visto che tale azione sarebbe legale sotto l’articolo 51 dello statuto dell’Onu – perché ogni stato ha il diritto di difendere se stesso – perché non dovremmo seguire la volontà stabilita dall’Onu, soprattutto nel momento in cui c’è un sostegno nella regione, compreso l’Iraq? Siamo parte di una coalizione di 60 paesi che lavorano assieme spalla a spalla per opporsi all’ideologia e alla brutalità di Daesh.

 

Ora Mr Speaker, tutti capiamo l’importanza di porre fine alla guerra civile in Siria e ci sono alcuni progressi in corso grazie al negoziato di Vienna. Ci sono buone possibilità di ottenere almeno un cessate il fuoco. Questo potrebbe portare alla fine dei bombardamenti di Assad, a un governo di transizione e alle elezioni. Perché è vitale tutto ciò? Perché aiuterà a sconfiggere Daesh e perché potrebbe permettere ai milioni di siriani che sono stati costretti a scappare di fare quel che ogni rifugiato sogna: avere la possibilità di tornare a casa.

 

Ora Mr Speaker, nessuno in questo dibattito parlamentare mette in dubbio la minaccia seria di Daesh e delle sue azioni, anche se a volte ci risulta difficile convivere con questa realtà. Sappiamo che in giugno quattro omosessuali sono stati buttati giù dal quinto piano di un palazzo a Deir ez-Zor, in Siria. Sappiamo che in agosto l’ottantaduenne direttore del sito archeologico di Palmira, il professore Khaled al Assad, è stato decapitato, e il suo corpo senza testa è stato appeso a un semaforo. Sappiamo che nelle ultime settimane è stata scoperta una fossa comune a Sinjar, vicino a Mosul, con i corpi delle donne yazide più anziane uccise da Daesh perché erano troppo vecchie per essere vendute come schiave del sesso. Sappiamo che hanno ucciso 30 turisti inglesi in Tunisia, 224 vacanzieri russi su un aereo, 178 persone in attentati suicidi a Beirut, Ankara e Suruç, 130 persone a Parigi compresi i ragazzi al Bataclan che Daesh, per giustificare il massacro sanguinoso, ha definito “infedeli dediti alla prostituzione e al vizio”. Se fosse accaduto qui, quelli sarebbero stati i nostri figli. E sappiamo che Daesh sta organizzando nuovi attacchi.

 

Allora la domanda per ognuno di noi, e per la nostra sicurezza nazionale, è: visto che sappiamo cosa stanno facendo, possiamo davvero tirarci indietro e rifiutarci di agire per difenderci contro chi sta pianificando questi attacchi? Possiamo davvero lasciare agli altri la responsabilità di difendere la nostra sicurezza, quando la responsabilità è nostra? E se non facciamo nulla, che messaggio invieremo riguardo alla nostra solidarietà verso quei paesi che stanno soffrendo molto, compresi l’Iraq e la Francia nostra alleata?

 

La Francia ci chiede di stare con lei e il presidente Hollande, leader del Partito socialista nostro fratello, ci ha chiesto assistenza e aiuto. Visto che stiamo facendo blitz aerei in Iraq dove Daesh sta un po’ indietreggiando e stiamo già facendo tutto il possibile tranne gli strike in Siria, non dovremmo farla tutta, la nostra parte?

 

Si è detto nel dibattito che gli attacchi aerei non servono a niente. Non è vero. Guardate come è stata contenuta la lunga marcia di Daesh in Iraq. La Camera ricorderà che, 14 mesi fa, si diceva: “Sono quasi arrivati a Baghdad”. Ed è per questo che abbiamo votato, per rispondere alla richiesta del governo iracheno di aiutarli a combattere. Guardate come la capacità militare di Daesh e la sua libertà di movimento è stata messa sotto pressione. Chiedete ai curdi di Sinjar e di Kobane. Gli airstrike da soli non sconfiggeranno Daesh, ma fanno la differenza. Perché stanno complicando la strategia di Daesh, e gli impediscono di allargare il suo stato. Condivido la preoccupazione espressa da molti sulle vittime civili. Però, a parte Daesh, nessuno di noi opera con l’intento di far male ai civili. Anzi, operiamo per proteggere i civili da Daesh, che se la prende con gli innocenti.

 

Sulla discussione sui “boots on the ground”, c’è stato molto dibattito sui 70 mila uomini sul campo e credo che il governo debba spiegare meglio questo numero. Ma sappiamo che la maggior parte di questi sta già combattendo contro Assad. Ma vi dico un’altra cosa che sappiamo, ed è che qualsiasi sia il numero – 70, 40, 80 mila – più aspettiamo a intervenire più Daesh ridurrà la dimensione delle forze di opposizione. Per questo dire che gli airstrike non devono essere fatti finché la guerra civile siriana non è terminata significa ignorare l’urgenza della minaccia terroristica che Daesh pone a noi e a tutti, e credo che falsifichi la natura e gli obiettivi che l’ampliamento delle operazioni aeree si propone. E dunque dobbiamo prendere l’iniziativa. Non c’è alcuna contraddizione con il tentativo di tagliare finanziamenti, armi e combattenti a Daesh, e certo dobbiamo dare aiuto umanitario, e certo dobbiamo dare riparo ai rifugiati, anche qui da noi, e certo dobbiamo impegnarci a fare la nostra parte per aiutare la ricostruzione della Siria una volta che la guerra sarà finita.

 

[**Video_box_2**]Ora, so che ci sono argomenti legittimi, e li abbiamo sentiti durante il dibattito, sul non prendere l’iniziativa adesso. Ed è chiaro che molti parlamentari sono combattuti, e lo saranno ancora, su quale sia la cosa giusta da fare. Ma io dico che la minaccia è adesso, e raramente, se non mai, esistono le circostanze perfette in cui fare un’operazione militare. Abbiamo ascoltato prima il discorso della parlamentare di Eddisbury (la conservatrice Antoinette Sandbach, ndr), quando ha citato il passaggio, e vorrei rileggerlo, di quel che il rappresentante del governo del Kurdistan a Londra, Karwan Jamal Tahi, ha detto la scorsa settimana: “A giugno, Daesh ha catturato un terzo dell’Iraq nel giro di una notte e in pochi mesi ha attaccato la regione del Kurdistan. I bombardamenti del Regno Unito, dell’America e della Francia, e le azioni dei nostri peshmerga, ci hanno salvato. Ora condividiamo un confine di 650 miglia con Daesh. Li stiamo respingendo, e abbiamo appena ripreso Sinjar. Ancora una volta i bombardamenti occidentali sono stati vitali. Ma l’antico confine tra Iraq e Siria non esiste più, i combattenti di Daesh vanno avanti e indietro da questo confine fittizio”. E questo è per dire che dobbiamo trattare i due paesi come se fossero uno, se vogliamo essere seri nella lotta contro Daesh.

 

Ora Mr Speaker, spero che la Camera mi conceda ancora un attimo, perché vorrei parlare direttamente ai colleghi del mio schieramento. Come partito ci siamo sempre caratterizzati per il nostro internazionalismo. Siamo convinti di avere responsabilità uno verso l’altro. Non abbiamo mai voluto né dovuto andare dall’altra parte della strada.

 

E qui di fronte a noi ci sono dei fascisti. Non c’è solo la loro brutalità calcolata, ma la loro convinzione di essere superiori a ognuno di noi qui stasera e alle persone che rappresentiamo. Ci disprezzano. Disprezzano i nostri valori. Disprezzano la nostra fiducia nella tolleranza e nella dignità. Disprezzano la nostra democrazia, questi strumenti stessi che usiamo stasera per prendere una decisione. E se c’è una cosa che sappiamo dei fascisti è che devono essere battuti. E’ il motivo per cui questa sera qualcuno ha ricordato che i sindacalisti e altri si unirono alla Brigata internazionale contro Franco negli anni Trenta. E’ il motivo per cui questa intera Camera si oppose a Hitler e a Mussolini. E’ il motivo per cui il nostro partito è sempre stato contro chi nega i diritti umani e la giustizia. E io penso, Mr Speaker, che dobbiamo affrontare questo Male. E’ il momento di fare la nostra parte in Siria. Così chiedo ai miei colleghi di votare per la mozione, questa sera.

 

(Applausi)

 

Traduzione e commento a cura di Paola Peduzzi

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi