Margareth Thatcher

Se c'è ancora molta Thatcher nei Tory di oggi è sulla questione europea

Cristina Marconi
I nuovi conservatori la ammirano ma ammettono di essere diversi. L’eredita’ sull’Ue e l’arte della talent scout. intervista a Charles Moore, il biografo di Meggie.

Londra. Non si è mai sentita sicura sul suo trono, Margaret Thatcher. Un po’ perché sapeva quanto i suoi avversari all’interno del partito fossero agguerriti, un po’ perché il fatto di essere donna non le permetteva di contare sulla rete di salvataggio del boys club grazie alla quale i politici del suo livello cadono sempre e comunque in piedi, almeno un po’. “Quello che non avevo capito scrivendo il primo volume era quanto Maggie si sentisse sempre precaria, anche in un periodo come il 1983-1987 in cui dal di fuori tutto sembrava calmo e saldamente nelle sue mani”, dice al Foglio il biografo Charles Moore che, dopo la prima parte pubblicata nel 2013 “The Lady is not for turning”, ha ora concluso il ponderoso secondo volume “Everything she wants”, tutto quello che vuole, più di ottocento pagine per raccontare i quattro anni da “Gloriana” – il pensiero corre a Elisabetta I, ma la Thatcher aveva etichettato così i pezzi più sontuosi del suo guardaroba, quelli fatti per irradiare potere – della prima e ultima inquilina di Downing Street.

 

Moore, che studia Margaret da 18 anni, sta lavorando al terzo e ultimo volume e in questi giorni si trova alla conferenza dei Tory a Manchester. Ma non si sbilancia a dire quello che la Iron Lady penserebbe di questo partito di boys nati bene e dei loro piani per il futuro del paese, della visione così liberale di società espressa da David Cameron nel suo discorso sulle pari opportunità, sulle minoranze, sul matrimonio gay. “Io so quello che ha fatto, non quello che avrebbe fatto, e non so dire cosa ne penserebbe di tutto questo”, osserva umile, aggiungendo che il partito gli è apparso pacificato rispetto alla figura di lei e che “ormai si è creato un consensus: i nuovi conservatori la ammirano ma ammettono di essere diversi da lei”. Un tema su cui l’influenza è ancora fortissima a suo avviso è l’Unione europea. “La Thatcher aveva previsto il disastro della moneta unica, la sua presenza su questo tema è tangibile, il partito negli ultimi 25 anni è diventato molto più euroscettico di prima e questo è sulla scia di Maggie”, secondo Moore. E se “è solo adesso che le donne stanno raggiungendo un certo ruolo negli alti ranghi del partito, è senz’altro perché nessuna politica conservatrice poteva evitare di confrontarsi con il modello della Thatcher, un compito faticosissimo sia che la si rifiuti sia che si tenti inutilmente di imitarla. E Theresa May, come si vede, anche se potente, rimane una figura controversa”.

 

La Lady di Ferro descritta da Moore è una che non è mai riuscita del tutto a sfuggire a problemi “femminili” come il senso di colpa per essere stata una madre assente, controbilanciato oltre ogni ragionevolezza anche politica dal lassismo con cui ha gestito le intemperanze di suo figlio Mark, uomo d’affari troppo incline a usare nome e contatti della madre per ottenere favori. “Nel libro lo dico chiaramente, non si è comportata bene, non è stata pignola nel fare in modo che il figlio rispettasse le regole”, prosegue Moore, secondo cui l’iperprotettività compensatoria era estesa anche a Carol, la gemella di Mark, “che però faceva la giornalista e quindi non era così esposta”. E che l’insicurezza sia stata per la Thatcher cattiva consigliera è dimostrato anche nel suo rapporto con la regina: “Le cose si fecero difficili nel 1986 con la questione delle sanzioni al Sudafrica per l’apartheid. Maggie non le voleva perché pensava che avrebbero colpito l’economia, finendo col danneggiare coloro che le sanzioni volevano proteggere”. A Elisabetta II interessava soprattutto la tenuta del Commonwealth e il suo segretario agì in maniera avventata per fare pressione sulla Thatcher, lasciando che questo scontento uscisse sulla stampa. Maggie era terrorizzata che le “vecchie signore” smettessero di votarla perché aveva fatto arrabbiare la regina”, prosegue Moore, secondo cui gli incontri settimanali tra le due erano così formali da essere spesso inconcludenti. “Maggie era molto tesa, la conversazione era corretta, ma mai produttiva”, anche se sempre improntata al massimo rispetto da entrambe i lati. “Prova ne è il fatto che la regina è andata al funerale della Thatcher, cosa che aveva fatto in precedenza solo per Winston Churchill”.

 

[**Video_box_2**]Però l’economia correva, la Thatcher era forse la figura politica dominante nel mondo. Sapeva di essere stata fortissima alle elezioni, aveva dalla sua il successo delle Falklands e il Regno Unito si andava popolando di piccole e medie imprese. “Gloriana” aveva vinto la sua amara battaglia contro i sindacati e alla sua pervicacia da talent scout, secondo Moore, si deve l’emergere di una figura politica centrale come quella di Michail Gorbaciov. Maggie lo invitò a pranzo ai Chequers e mentre il marito Denis mostrava all’incantevole Raissa le rose del giardino, la Lady mise sotto torchio Gorbaciov per sei ore. Poi si sistemò i capelli, il fiocco della camicia e corse da Ronald Reagan a raccontare: non è il solito ventriloquo sovietico, vale la pena parlarci. E così fu.

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