Vladimir Putin (foto LaPresse)

Putin lo stabilizzatore

Gianni Castellaneta
Perché i mig di Mosca in Siria non sono necessariamente un male. Le ripetute conferme visive nella flessione muscolare russa in Siria sono il plastico contraltare al silenzio americano su quanto sta avvenendo nel Levante.

Le ripetute conferme visive nella flessione muscolare russa in Siria sono il plastico contraltare al silenzio americano su quanto sta avvenendo nel Levante. Negli affari internazionali i silenzi talora dicono di più di molte parole. E in questo caso suggeriscono che Putin abbia trovato un accordo di massima per arginare l’espansione dello Stato islamico (Is) nella regione mesopotamica puntellando parti di Siria e gestendo una transizione graduale dal regime di Assad verso una coabitazione con le “opposizioni normali” del Paese. Così facendo, Putin conferma ancora una volta il ruolo di primo piano che Mosca tradizionalmente gioca in Medio Oriente. Si tratta di un ruolo che non risale agli ultimi mesi, bensì al Grande Gioco di Peter Hopkirk – il confronto geopolitico con l’Inghilterra a cavallo tra Mesopotamia, Persia e India che era chiamato dalla Russia zarista “torneo delle ombre”.

 

In prima battuta, Putin si fa carico di stoppare la crescita ormai fuori controllo dello Stato islamico. È lecito ritenere che la statualizzazione di quest’ultimo fosse ormai accettata da ampie fette di establishment occidentale come contropartita che il mondo sunnita pretendeva come argine al rientro dell’Iran sciita nella comunità degli accettati. Eppure, come spesso accade, il processo di statualizzazione si è tradotto in una serie di forti esternalità geopolitiche tra cui si possono annoverare, dopo le terribili violenze sui cristiani, anche i massicci flussi di profughi attraverso i Balcani. Questi ultimi, che non si limitano ai soli Siriani, hanno tra l’altro risvegliato il timore di una risorgenza islamica nell’intera regione balcanica sotto il tacito patronage della Turchia.  Abbastanza per mettere su chi va là chi – Vaticano compreso – sta attento a certi delicatissimi equilibri.

 

[**Video_box_2**]In seconda battuta, Putin consolida un ruolo di stabilizzatore di geografie volatili. Come l’Egitto, dove il sostegno russo ha consentito all’ossatura militare di Al Sisi di riprendersi il Paese dopo che le elezioni avevano consegnato il Paese alla Fratellanza Musulmana. Putin incarna l’antitesi del discorso del Cairo di Obama, in cui quest’ultimo teorizzò la necessità di una ventata democratizzante lungo l’intero arco mediterraneo e contribuì così alla sequenza di eventi successivi.  L'America reagirà? Non è detto che vada così, al di là di formule d’obbligo a uso e consumo del ciclo mediatico senza soluzione di continuità. Ormai anche lungo il Potomac è chiaro a molti che la polveriera mediorientale è troppo pericolosa e necessita di robuste iniezioni di Realpolitik. L’autoritarismo di Putin consente di fare cose che in Occidente richiederebbero una lunga opera di condizionamento dell’opinione pubblica, e dunque si presta a fare il lavoro sporco per conto dell’Occidente. Accade così che il pensatoio a stelle e strisce Carnegie nei giorni scorsi si sia chiesto se la Russia, con metodi non condivisibili, non stia tuttavia facendo la cosa giusta. Se così fosse, pur con le incognite legate alle presidenziali americane, ci sarebbe da credere a una ritrovata armonia tra le varie anime dell’Occidente. Di cui la Russia, nonostante i flirt con la Cina, continua a fare parte.

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