Un obiettivo dello Stato islamico viene colpito da un raid americano in Iraq

I droni non bastano. Opinioni internazionali su come distruggere lo Stato islamico

Redazione
Così molti commentatori esteri chiedono all'occidente maggiore impegno in Siria

In agosto il Regno Unito ha attaccato per la prima volta lo Stato islamico (Is) in Siria, lanciando un attacco mirato con i droni in cui sono stati uccisi tre jihadisti del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi, di cui due erano cittadini britannici. La notizia dell’attacco è stata data questa settimana, mentre la crisi europea dei rifugiati ha trasformato di nuovo la guerra in Siria in un argomento di estrema urgenza, e le iniziative dei paesi europei contro la violenza dello Stato islamico per ora non sembrano sufficienti. Mentre Londra usa i droni, la Francia si prepara a partecipare alle operazioni della coalizione in Siria con mere operazioni di intelligence, e il premier italiano Matteo Renzi dice no a “iniziative spot”. Così molti commentatori internazionali, specie nel Regno Unito di David Cameron, dove il premier spinge per una soluzione definitiva della crisi dei migranti, stanno chiedendo all’occidente maggiore impegno in Siria, perché, come si può leggere anche sul Foglio, “dal cielo non basta”.

 

Sul Telegraph, Con Coughlin scrive che ora che il governo britannico ha trovato i “cojones” per colpire lo Stato islamico in Siria (il momento di svolta è stato l’attacco di giugno al villaggio turistico di Sousse, in Tunisia, in cui sono morti 30 turisti inglesi), deve sviluppare un piano di annientamento che non preveda il semplice uso di droni. Il governo è frenato dal voto parlamentare che due anni fa bloccò l’aviazione inglese (e per certi versi anche quella americana) dall’intervenire in Siria, ma per Coughlin l’esigenza di distruggere lo Stato islamico è così urgente che Cameron può spingersi a sfidare la volontà dei Comuni. Serve un “piano realistico”, scrive Coughlin, che non si limiti al wishful thinking che finora sembra aver guidato l’azione della coalizione occidentale. Per questo sicuramente i droni non bastano, e forse nemmeno i bombardamenti aerei: “soltanto una strategia che riconosce appieno la dimensione della minaccia avrà possibilità di successo”.

 

E’ dello stesso parere anche uno dei parlamentari conservatori di maggior esperienza della camera dei Comuni, il colonnello Bob Stewart, ex comandante delle truppe Onu in Bosnia e membro della commissione Difesa del Parlamento, che in un’intervista a Sky News ha riconosciuto che i bombardamenti potrebbero non essere sufficienti per riportare la pace in Siria. “Mi chiedo se alla fine qualcuno dovrà andare sul campo con forze militari di terra per ridare ordine al paese”, ha detto (il colonnello ha aggiunto anche un inciso nella frase, “spero non il Regno Unito”, che mostra la necessità e al tempo stesso l’impopolarità di un’operazione militare in Siria). Stewart sostiene che uno sforzo militare di terra dovrà essere messo in pratica da un’ampia coalizione, sotto l’ombrello dell’Onu.

 

Sul Telegraph Steven Woolfe, portavoce dell’Ukip, sostiene che inviare truppe di terra in Siria, sotto l’egida dell’Onu, non è una possibilità, ma una necessità. “Non ci possiamo permettere di essere naif”, scrive, è necessario creare una safe zone in Siria per consentire alle popolazione di rimanere al sicuro nel proprio paese, e poi spazzare via con la forza lo Stato islamico. Nel piano di Woolfe c’è il mantenimento al potere del presidente siriano Bashar el Assad, e l’adozione da parte dell’Europa di politiche migratorie severe sul modello di quella australiana.

 

[**Video_box_2**]Ma il fatto che “dal cielo non basta”, specie con i droni ma perfino con i jet, ormai è accettato anche dagli stessi architetti della coalizione anti Is. La settimana scorsa, durante un’intervista con la Cnn, il segretario di stato americano John Kerry ha detto che in Siria “ci sarà bisogno di soldati sul terreno. Sono sicuro che arriverà il momento giusto”. In seguito Kerry ha aggiunto che i soldati non saranno americani, e che spera che a impegnarsi saranno le potenze regionali come la Turchia, l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo. Ma il quadro strategico e le azioni da intraprendere per sconfiggere il terrorismo sembrano piuttosto chiare dentro alla Situation Room di Washington.