Matthew VanDyke in Libia nel 2011

Così addestriamo i cristiani a combattere il Califfo. Parla un americano (un po' discusso)

Davide Vannucci
Non è certo che abbiano letto San Tommaso e le sue dissertazioni sulla guerra giusta, ma i cristiani del Nord dell’Iraq vivono sulla propria pelle, quotidianamente, la minaccia costante alla loro esistenza.

Non è certo che abbiano letto San Tommaso e le sue dissertazioni sulla guerra giusta, ma i cristiani del Nord dell’Iraq vivono sulla propria pelle, quotidianamente, la minaccia costante alla loro esistenza. Nella piana di Ninive, dove, prima dell’arrivo dello Stato islamico, viveva buona parte di questa comunità, si è formato un gruppo di combattenti, la Nineveh Plains Protection Unit (NPU), che vuole opporsi a un destino apocalittico.

 

L'unità, formata da circa 5.500 uomini, è finanziata soprattutto dall'American Mesopotamian Organization (Amo), fondata in California da alcuni assiro-americani. L'Amo sostiene di avere raccolto più di 250.000 dollari per la NPU, attraverso un'iniziativa ribattezzata “Restore Niniveh Now”. L'ottanta per cento delle donazioni viene dagli Stati Uniti. Questo progetto si è intrecciato con gli sforzi di un altro americano, di Baltimora, Matthew VanDyke. Il personaggio è controverso, la sua biografia è già un romanzo.

 

Nel 2011 scoppia la primavera araba. VanDyke va in Libia per combattere Gheddafi, a fianco dei ribelli. Viene fatto prigioniero e passa cinque mesi e mezzo nelle carceri del Colonnello. Poi, dopo alcuni viaggi in Siria e una campagna mediatica a favore della rivolta contro Assad, fonda i Sons of Liberty International (SOLI) –  “il primo contractor di sicurezza no profit”, dice, nulla a che vedere la Blackwater – che addestra gratuitamente i miliziani anti-Stato islamico e recluta alla causa veterani americani.

 

È stata l’uccisione dei giornalisti James Foley e Steven Sotloff per mano del Califfato a riportarlo sui campi di battaglia, ed è stata la mancanza di sostegno internazionale a convincerlo che la sopravvivenza dei cristiani iracheni fosse la causa a cui votarsi. Alcuni media hanno paragonato Matthew a Che Guevara, soprattutto per un viaggio in moto attraverso nei paesi arabi che lo ha portato, come il Che, sulla strada della rivoluzione in armi. Lui racconta al Foglio di considerarsi su un piano diverso: “Malgrado ci siano similitudini con il Che, non mi paragono ai rivoluzionari del passato. Seguo un percorso che è soltanto mio, e che prevede un approccio più ampio”. VanDyke chiarisce infatti che i Sons of Liberty international sono l'evoluzione della sua attività rivoluzionaria: “Si tratta di uno strumento adatto alla modernità e ai suoi bisogni, oltre che al diritto internazionale. A mio parere, l'unica maniera perché i popoli possano proteggersi da regimi oppressivi consiste nel rovesciarli. Lo Stato Islamico è uno stato autoritario, deve essere rovesciato”. Insomma, se il Califfo ha fondato una vera e propria entità statuale, in nome della responsibility to protect bisogna appoggiare la “rivoluzione” contro Al Baghdadi e i suoi affiliati. “Quella in Iraq”, ripete, “è solo la prima missione, e non sarà certo l’ultima”. 

 

VanDyke dice di avere “un buon rapporto con il Dipartimento di Stato americano e con i suoi funzionari, incontrati in Iraq. Si può dire che abbiamo fatto da intermediari tra il governo americano e la milizia cristiana, li abbiamo messi in contatto, aiutandoli a costruire una relazione. Siamo stati incoraggiati a continuare a lavorare con la leadership cristiana e il Dipartimento ha espresso un’opinione favorevole riguardo alla milizia . Tuttavia, SOLI non ha un rapporto formale, non prende direttive e non riceve fondi, o sostegni di altra natura, dal governo degli Stati Uniti”. Contattato dal Foglio, però, il Dipartimento di Stato americano nega le dichiarazioni di VanDyke e ribadisce la sua policy: “I cittadini americani sono invitati ad evitare qualsiasi viaggio non essenziale in Iraq. Il nostro governo non appoggia i privati che vanno in Iraq e in Siria a combattere contro lo Stato Islamico. Ogni civile che ha viaggiato in quelle aree per prendere parte a queste attività non è né parte né sostegno degli sforzi americani nella regione”. 

 

[**Video_box_2**]VanDyke  sostiene che nel Nord dell’Iraq non ci sono più di cinque-sei milizie cristiane - perché “fortunatamente i cristiani non hanno sperimentato il livello di divisione di altre confessioni e di altre etnie” - e che i Sons of Liberty International hanno deciso di lavorare assieme alla Nineveh Plains Protection Unit perché credono che la NPU “possa diventare la forza leader di questa comunità nel paese”. Racconta: “Abbiamo iniziato a parlare con loro quando la milizia era ancora un progetto, mesi prima che dichiarassero pubblicamente la loro esistenza. Siamo arrivati in Iraq a inizio dicembre e, fino al 19 febbraio, abbiamo addestrato circa 350 soldati, con un team di cinque trainer, quatto dell'esercito ed uno della marina. Si tratta di quattro uomini, più un donna”.

 

Kaldo Ramzi Oghanna, portavoce della NPU, conferma il coinvolgimento di VanDyke nell’addestramento dei miliziani, ma precisa che la fase due, quella che vedrà lo schieramento degli uomini a difesa delle comunità cristiane, non prevede la sua partecipazione. Restore Nineveh Now lo accusa addirittura di essersi servito degli assiro-americani per fare pubblicità a SOLI. Lui, invece, rilancia: “Abbiamo in programma di espandere le nostre operazioni in Iraq, con più personale e più risorse, e, se possibile, allargare la nostra azione ad altri paesi”.

 

Vaste programme, certo. L’organizzazione si appoggia unicamente sulle donazioni e la sua missione primaria è quella di aiutare le popolazioni a proteggere se stesse. VanDyke, però, sostiene che sul lungo periodo l’obiettivo è “di andare all’offensiva e di riconquistare le terre strappate dallo Stato islamico”.