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Controterrorismo inclusivo. L'intelligence americana si chiede: dire “jihadista” è offensivo?

Redazione

Mentre il terrorismo islamico, da Gaza a Mosca, è lungi dall’essere sconfitto, si scopre che in questi mesi i funzionari americani hanno trovato tempo e risorse per interrogarsi su come rendere la guerra agli estremisti il più inclusiva possibile

Mentre l’opinione pubblica occidentale sembra colta di sorpresa dalla notizia che il terrorismo islamico – da Gaza a Mosca – è lungi dall’essere sconfitto, si scopre che in questi mesi i vertici dell’intelligence americana hanno trovato tempo e risorse per interrogarsi su come rendere la guerra agli estremisti il più inclusiva possibile. “Le parole contano, anche nel controterrorismo”, spiega “The Dive”, la newsletter redatta dall’Ufficio del direttore nazionale dell’intelligence di Washington e inviata a tutti i funzionari del settore. Si scopre allora che termini come “jihadista”, “jihadista salafita”, “estremista islamico”, “estremismo sunnita” o “estremismo sciita” e “radicalisti islamici” potrebbero offendere troppo. Il timore è di fare intendere che l’islam veicoli il messaggio della guerra santa. L’accesso alla newsletter è ristretto ai soli funzionari dei servizi americani, ma con una richiesta di accesso agli atti, il sito Daily Wire ha scoperto la revisione semantica in corso in seno all’intelligence.

L’ansia da Dei – l’acronimo che sta per “diversità, equità e inclusione” – è già a buon punto. Tanto che, si scopre dalla newsletter, i servizi hanno anche invitato uno studioso dell’islam, il quale avrebbe consigliato di sostituire il termine “jihadisti” con quello di “kharigisti”, un gruppo che si ribellò al quarto califfo discendente di Maometto, Ali ibn Abi Talib. La discussione non si limita al terrorismo islamico, ma propone una terminologia più inclusiva in genere, come nel caso di “blacklist”, un termine da riconsiderare perché potrebbe indurre a credere che “nero sia una cosa negativa e bianco una positiva”. Ad aggravare i contorni grotteschi della discussione, c’è che l’invio della newsletter è successivo agli attacchi del 7 ottobre in Israele e si iscrive in un lungo periodo in cui il messaggio passato alle masse recita che lo Stato islamico sarebbe stato debellato e che sarebbe ora per gli Stati Uniti di lasciare Iraq e Siria dopo il tragico precedente afghano. Gli eventi degli ultimi mesi, fino agli attentati di Mosca, dimostrano che la realtà spesso è meno inclusiva di quanto si creda.
 

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