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Xi Jinping vìola le libertà religiose mentre vuole ergersi a pacificatore
Da quando nel 2016 Pechino ha avviato la campagna di “sinizzazione” delle religioni, le autorità di Pechino hanno chiuso, smantellato, convertito e demolito centinaia di moschee nel nord della Cina. Un report
Da quando nel 2016 il presidente cinese Xi Jinping ha avviato la campagna di “sinizzazione” delle religioni – che altro non è che la cancellazione di fede, religioni e minoranze etniche per raggiungere un’unica identità culturale con caratteristiche cinesi – le autorità di Pechino hanno chiuso, smantellato, convertito e demolito centinaia di moschee nel nord della Cina. L’ong Human Rights Watch ha pubblicato mercoledì un report in cui vengono confrontate nel tempo le immagini satellitari dei luoghi di culto musulmani nelle regioni del Ningxia e del Gansu a maggioranza Hui, l’etnia musulmana della Repubblica popolare. Già dal 2017 nella regione a maggioranza uigura dello Xinjiang, secondo l’Aspi, sarebbero state danneggiate o demolite due terzi delle moschee. Nel Ningxia, dal 2020 ne è stato chiuso un terzo, con la rimozione di numerose cupole e minareti per essere sostituite da “stili architettonici cinesi”.
Se per la propaganda questo rappresenta un semplice tentativo di “consolidare” le moschee sul territorio cinese, secondo Hrw e numerose organizzazioni per i diritti umani è una “violazione della libertà religiosa” che fa parte di uno “sforzo sistematico per frenare la pratica dell’islam in Cina”. Il principio è “demolire di più e costruire di meno”, lo stesso del periodo della Rivoluzione culturale in cui l’ordine era quello di smantellare o buttare giù qualsiasi luogo di culto. E’ un rapporto che accusa il governo cinese di “mostrare un totale disprezzo per la libertà di religione non solo di tutti i musulmani in Cina, ma di tutte le comunità religiose”, in un momento in cui, nella guerra tra Israele e Hamas, Pechino tenta di proporsi come potenza pacificatrice – senza ancora aver mai condannato l’attacco terroristico del 7 ottobre. Nel suo primo discorso dall’inizio delle ostilità a Gaza il leader cinese ha attribuito la causa principale del conflitto ai diritti negati “all’esistenza della Palestina e al ritorno del popolo palestinese”. Diritti che, evidentemente, per Xi valgono solo fuori dal territorio cinese.
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