Proxy Cina

La strategia cinese per restare a galla in medio oriente (e in Italia)

Giulia Pompili

Pechino può sfruttare l'escalation tra Israele e Palestina e l'uscita soft dell'Italia dalla Via della seta allo stesso modo, e cioè per aumentare la sua influenza all'estero. Per questo serve educazione e trasparenza. Parla Emily de La Bruyere di Horizon Advisory

Il discorso di ieri del leader cinese Xi Jinping, alla riunione straordinaria dei paesi Brics, era molto atteso: la Cina ha effettuato diverse esercitazioni militari congiunte con l’Iran, ha aumentato enormemente negli ultimi anni la sua presenza nel Mar rosso attraverso la sua prima base militare all’estero inaugurata nel 2017 in Gibuti, e ieri era la prima volta che il leader parlava della guerra in medio oriente.  Ma il suo discorso è stato ancora una volta privo di proposte concrete: “La comunità internazionale deve agire con misure pratiche per evitare che il conflitto si estenda e metta in pericolo la stabilità dell’intero medio oriente”, ha detto Xi, auspicando la soluzione dei due stati e la convocazione di una conferenza di pace. 

“Quello che la Cina sta facendo in medio oriente è la continuazione di quello che ha fatto finora”, spiega al Foglio Emily de La Bruyere, cofondatrice di Horizon Advisory, un’importante azienda di consulenza geopolitica americana, “cioè cercare di avere vantaggi economici da tutte le parti, senza prendere una parte specifica rimanendo sempre fuori dalle questioni più complicate, mentre tenta di assicurarsi che invece l’America e i paesi occidentali siano completamente coinvolti nei problemi”. Eppure secondo i resoconti dei media sembrava che il presidente americano Joe Biden avesse domandato a Xi Jinping, durante il loro ultimo bilaterale in California la settimana scorsa, un coinvolgimento maggiore soprattutto nella questione mediorientale, per evitare l’allargamento del conflitto. “Xi Jinping non è mai sincero”, dice de La Bruyere, che è anche senior fellow alla Foundation for Defense of Democracies. “Soprattutto nel campo delle relazioni internazionali. E ci sono diversi esempi che ce lo dimostrano”. Tutti i momenti di engagement che il leader e il Partito comunista cinese hanno avuto con l’America e i paesi occidentali sono risultati parte di una traiettoria fatta per evitare il confronto diretto delle azioni della Cina sulla scena globale: “Si tratta ancora di tirare fuori molta retorica senza avere alcuna responsabilità, mantenendo un certo grado di instabilità che non minacci gli interessi diretti cinesi ma che faccia spendere energie e risorse a Washington e ai suoi alleati”. 

L’obiettivo è il controllo economico, non la risoluzione delle complicate questioni politiche. E’ più o meno il senso stesso della Via della seta, il progetto d’influenza strategica del quale l’Italia ha iniziato a far parte nel 2019 e dal quale il governo Meloni, in questo momento, sta cercando di liberarsi: “Un progetto che serve a creare un solco con i potenziali avversari, e la loro influenza in Europa”, senza però reali risultati economici ma semplicemente lavorando “sulle frustrazioni, l’insoddisfazione”, attraverso la rete capillare della propaganda, che rilancia sistematicamente l’idea che la Cina sia “la reale alternativa”. Eppure il governo italiano sta cercando di effettuare un’uscita soft dalla Via della seta, spesso trovandosi a ospitare con tutti gli onori controversi funzionari cinesi, rilanciando intese alternative, e lasciando che le operazioni di influenza si svolgano dal basso, forse con poca reale consapevolezza della rete strategica costruita negli anni da Pechino. Per de La Bruyere, essere chiari sull’uscita “è fondamentale”, soprattutto sulle motivazioni, e cioè sul fatto che la Cina non ha mantenuto le sue promesse e “non è un partner affidabile”, ma l’analista mette in guardia anche sulle concessioni che potrebbe promettere ora Pechino: “se una uscita soft è stata concessa, il passo successivo, ci dice la storia, è sempre l’hardball”, cioè una relazione spietata, aggressiva e altamente competitiva.   

Per ora sembra che l’attacco propagandistico da parte di Pechino sia locale.  Giovedì scorso è stato firmato un accordo tra l’emittente di stato del Guangdong, la Guangdong Radio and Television, e la Gold Tv, emittente del Gruppo Sciscione di Terracina – un accordo celebrato con una festa sfavillante, prima al Teatro 5 di Cinecittà di Roma e poi nel locale Spazio Novecento – alla presenza dell’eurodeputato della Lega Matteo Adinolfi, che ha detto a Lazio Tv che Gold sarà “il ponte per la conquista dell’intera Cina” e per “sviluppare gli scambi commerciali”. C’è un’intera rete di organizzazioni para statali cinesi che operano con l’obiettivo di interagire direttamente con istituzioni locali, società, associazioni, spiega de La Bruyere, per esempio con l’istituzione di città gemellati, istituti Confucio, forum, “c’è un intero sistema cinese per questo nel mondo, e nessun paese come l’Italia ma nemmeno l’America ha un sistema simile per rispondere”. E’ successo molto chiaramente negli Stati Uniti, dice l’analista, certi rappresentanti cinesi arrivano e dicono agli enti locali: “Non siamo contenti delle politiche del governo nazionale, facciamo noi gli accordi. Oppure chiedono di andare a fare lobby con il governo centrale. Ma l’obiettivo è sempre creare dipendenza economica” e una narrazione positiva attorno alla Repubblica popolare. “La soluzione è l’educazione e la trasparenza. Spesso le persone si ritrovano in certe situazioni perché non hanno idea di con cosa stanno avendo a che fare, magari non hanno interesse alle questioni più grandi, di relazioni internazionali, e non sanno che stanno facendo accordi con il Partito comunista cinese”. L’altra opzione, però, è che magari lo sappiano e non gliene importi granché: “E allora”, dice de La Bruyere, “c’è bisogno di leggi più efficienti, per esempio, che dicono che se prendi fondi da un’entità cinese allora ti vengono limitati i fondi dal governo centrale”. E se non ci sono soldi di mezzo vuol dire che si deve tornare all’educazione e alla trasparenza, e alle alternative che si devono offrire a chi rischia di cadere tra le braccia della Cina. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.