Editoriali

Un processo in Svezia per portare in tribunale gli ayatollah  

Redazione

Un giudice a Stoccolma tra le forche iraniane di ieri e quelle di oggi. Ebrahim Raisi è il filo rosso che le collega

Trentaquattro anni dopo il massacro dei prigionieri politici iraniani nella grande resa dei conti  tra i vincitori e gli sconfitti della Rivoluzione islamica, un processo in Svezia è una vittoria per le vittime e un incubo per il presidente in carica Ebrahim Raisi. Raisi è il filo rosso che collega le forche di ieri a quelle di oggi: nel 1988 era il capo della magistratura che decideva le condanne a morte per impiccagione dei dissidenti politici considerati “nemici del popolo e di Dio”, oggi è il capo del governo nel momento in cui l’Iran rispolvera la pratica disumana di punire il dissenso politico con le esecuzioni pubbliche di giovani manifestanti, con l’unico obiettivo di scoraggiare  tutti gli altri dal proseguire le proteste.

Nel processo svedese, per la prima volta, un esponente del regime iraniano che ha preso parte attivamente al massacro degli anni Ottanta, durante il quale circa quattromila persone sono state giustiziate nell’arco di poche settimane, viene giudicato in un processo internazionale per crimini contro l’umanità. L’imputato è Hamid Noury, è stato condannato all’ergastolo dopo il primo grado di giudizio a luglio 2022 – prima che cominciassero le proteste in Iran, quando il 16 settembre Mahsa Amini è morta mentre era in custodia della polizia religiosa, e prima che tornassero le esecuzioni dei dissidenti.

Nuovi testimoni, proposti sia dalla difesa sia dall’accusa, saranno sentiti nel processo d’appello che è appena cominciato. La speranza delle famiglie delle vittime è che vengano accertati nuovi fatti ed emergano nuove testimonianze sul ruolo che aveva svolto all’epoca Raisi, e che questo possa avere conseguenze concrete in termini di sanzioni internazionali e isolamento del suo governo. La speranza dei dissidenti iraniani di oggi  è che possa costituire un precedente contro l’eterna impunità dei propri carnefici. 

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