EDITORIALI

Una concorrenza deludente

Redazione

La legge è importante, le omissioni pure e il ddl non andrà lontano

Giovedì il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge “annuale” sulla concorrenza. Le reazioni si dividono equamente tra chi denuncia che l’elefante ha partorito il topolino, e chi invece si lamenta per i presunti eccessi liberisti dell’esecutivo.

 

 

Ddl concorrenza, una legge deludente

Il ddl contiene alcune misure importanti (se sopravviveranno all’iter parlamentare), per esempio in materia di sanità e semplificazioni. In altri casi, sembra che Palazzo Chigi abbia ceduto alla richiesta dell’Antitrust di ottenere “pieni poteri”, visto che il Garante rivendica la facoltà di intervenire a gamba tesa sui mercati digitali (tra l’altro in potenziale contrasto con le regolamentazioni europee in via di approvazione). In altri casi ancora – servizi pubblici locali, trasporto pubblico, idroelettrico, ecc. – lo sforzo è generoso ma rischia di arrivare poco lontano, visto che lo strumento scelto (la delega) mal si concilia con una legislatura in fase terminale. Certo, se dai frutti si vede l’albero, questo disegno di legge dice molto sulla situazione politica nella quale ci troviamo. Da un lato, l’assenza di alcuni temi critici (dalle concessioni balneari ai notai) suggerisce quanto sia fragile la cultura della concorrenza nel nostro paese. Qualunque tentativo di concertare le liberalizzazioni coi partiti finisce insomma per naufragare tra i veti incrociati. Ma, soprattutto, l’esito di questo ddl tanto atteso dice anche che le fragilità non stanno solo fuori dal governo (nel rapporto coi partiti) ma soprattutto all’interno di esso.

 

Vista la rilevanza che riveste anche ai fini del Pnrr, la concorrenza avrebbe dovuto essere un provvedimento bandiera. Invece sembra un tema tossico, del quale nessuno vuole assumersi la responsabilità o rivendicare come proprio. Né in Parlamento, né tra i ministri. E’ come se, di fronte alla concorrenza, perfino l’uomo del “whatever it takes” si trovasse ridotto all’eterna trincea della politica italiana: “’ndo cojo cojo”.

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