Editoriali
L'indulto di Sánchez
La decisione del premier era inevitabile, ma la questione catalana resta irrisolta
L’indulto annunciato oggi dal governo spagnolo per i nove leader indipendentisti catalani che stanno scontando lunghe pene detentive per l’organizzazione del referendum secessionista illegale del 2017 è un atto politico che il premier socialista Pedro Sánchez non poteva evitare. Non lo poteva evitare per motivi aritmetici (al suo esecutivo serve l’appoggio in Parlamento degli indipendentisti catalani). E non lo poteva evitare perché, quantomeno fuori dalla Spagna, è chiaro quasi a tutti come non sia possibile che in un paese europeo i leader politici di partiti votatissimi scontino fino alla fine delle condanne così severe per aver tentato di organizzare una secessione pacifica, ancorché illegale. Ma, proprio per la sua sostanziale inevitabilità, la concessione dell’indulto è per Sánchez una “scelta” frustrante, perché non è un provvedimento per cui possa ricevere applausi.
Trattandosi di un epilogo annunciato, a destra hanno già organizzato da mesi la sassaiola retorica contro il traditore della patria Sánchez (e anche tra i socialisti in molti lo hanno criticato). Da parte loro, non essendosi certo ravveduti né pentiti, gli indipendentisti stanno già utilizzando il “perdono” proprio contro chi lo concede (“l’indulto è un trionfo perché mostra alcune delle debolezze dell’apparato dello stato”, ha detto uno degli indultati, il leader di Esquerra republicana Oriol Junqueras). L’aver fatto quello che non poteva non fare sarà poco gratificante per Sánchez, ma non è detto che finisca poi per danneggiarlo: che avrebbe concesso l’indulto lo sapevano tutti, dal momento che, nel gioco delle parti della politica spagnola, questo atto lo poteva compiere soltanto un premier socialista. Per Sánchez e per chi lo critica, d’altra parte, il vero problema (perfino nel giorno della notiziona dell’indulto) è che la questione catalana rimane comunque lì, ancora interamente da risolvere.
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