Il ministro Raffaele Fitto (foto LaPresse)

Il gioco delle tre carte

Si accende lo scontro tra Fitto e la Corte sulle coperture del Pnrr. Ecco chi ha ragione

Giorgio Santilli

Quando sarà possibile quantificare i progetti ex-Pnrr ed ex-Pnc che non avranno coperture certa? È questo il cuore della lotteria dei numeri innescata dal decreto legge 19. Al momento le accuse delle Corte sono più convincenti della replica di Fitto

Si moltiplicano le relazioni e le audizioni sul decreto legge 19 che portano a galla il “gioco delle tre carte” denunciato dal Foglio il 16 marzo. Le relazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio e della Corte dei conti forniscono elementi che rafforzano l’idea di un quadro lacunoso e seri dubbi che sarà mantenuta la promessa di non lasciare a terra nessuna opera. Viene a galla una nuova domanda: quando sarà possibile quantificare i progetti ex-Pnrr ed ex-Pnc che non avranno coperture certa? Una domanda che è il cuore della lotteria dei numeri innescata dal decreto legge 19. Molto più della polemica che ai è scatenata fra la Corte dei conti e il ministro Fitto che ha risposto dicendo che non c’è nessun problema di copertura perché la Ragioneria vaglia la copertura di tutti i provvedimenti di legge. Ed è così, formalmente, ci mancherebbe.


Ma la Corte dei conti bacchetta la Ragioneria generale e la Relazione tecnica al decreto legge 19 lamentando che il documento “si limita a fornire gli elementi di sintesi delle valutazioni condotte”. Per esempio, quando stima i 9,4 miliardi di risorse da integrare nel nuovo Pnrr. Oppure quando evita di spiegare cosa siano i 2,32 miliardi di “progetti in essere” esclusi dal computo degli impieghi e dei nuovi oneri. O ancora quando non esplicita “le eventuali disponibilità di bilancio utili a garantire la copertura dell’incremento dei costi a invarianza di saldi, al fine di fugare dubbi circa la futura necessità di integrazioni degli stanziamenti di spesa”.  Sul fronte delle coperture, osserva la Corte dei conti, “una piena valutazione della stima condotta avrebbe richiesto che la Relazione tecnica dettagliasse l’elenco di misure sulle quali si registrano eventuali”.


L’obiezione della Corte dei conti non è la mancata copertura ma l’assenza di informazioni utili a capire se ci siano rischi di generare nuove spese in futuro. D’altra parte, la Relazione tecnica non poteva fornire dettagli su tutto. L’elenco completo dei progetti entrati e di quelli usciti dal Pnrr non c’è ancora. Anche qui Il Foglio ha più volte sottolineato che il decreto MEF “enciclopedico” che dovrà dettagliare al centesimo cosa c’è nel nuovo Pnrr non è ancora pubblicato. È il provvedimento che chiude il cerchio sulla revisione del Pnrr. Draghi lo varò in tre settimane dall’approvazione del Pnrr a Bruxelles, l’8 agosto 2021. Il governo Meloni a tre mesi di distanza ancora non lo ha fatto.

Torniamo quindi alla vera questione: ci saranno nei prossimi mesi opere senza la copertura necessaria per andare avanti e a quanto ammonteranno? Si può ipotizzare almeno 15-17 miliardi. Ci aiuta la tabella 8 alla pagina 19 della memoria dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che indica i decrementi di spesa riepilogati per opera o capitolo. I definanziamenti ammontano a 20,8 miliardi fra “progetti nuovi” (10,2 miliardi) e “progetti in essere” (10,6 miliardi). “Nuovi” e “in essere” sono in riferimento al Pnrr: i progetti in essere avevano già uno stanziamento nazionale e furono riversati nel Pnrr per risparmiare fondi nazionali (a proposito Fitto ieri ha molto polemizzato, si suppone con Mario Draghi, per aver inserito nel Pnrr progetti in essere per 69 miliardi).

Torniamo al punto. Dei progetti nuovi definanziati per 10,2 miliardi il DL 19 ne rifinanzia con certezza, indicando esplicitamente fondi e destinazione, soltanto 3.443 milioni di euro di cui 1.594 ai progetti urbani integrati.  Gli altri 7 miliardi si dovranno trovare in qualche modo le risorse. Ci sono opere ferroviarie come la circonvallazione di Trento e la Palermo-Catania che troveranno forse ospitalità nel contratto Rfi. C’è la ferrovia Roma-Pescara che il governo si è affrettato a rifinanziare anche in chiave elettorale con una delibera del Cipess. Ma gli altri? Mistero assoluto. Ci sono poi i 10,6 miliardi di “progetti in essere” su cui Upb fa un’operazione meritoria di trasparenza. Il decreto dice che “rimangono a valere sulle risorse del bilancio nazionale”. Un atto di fede. Ha ragione la Corte dei conti a dire che si rischiano nuove spese oppure c’è il rischio che queste opere restino a terra? Senza i dettagli su quali fondi coprono quali opere il rischio c’è tutto. Noi però abbiamo fiducia e non inseriamo questi 10,2 miliardi nel conto di ciò che resta a terra.


In questo conto non si può, però, non mettere le opere del Piano nazionale complementare che saranno definanziate senza alcun paracadute. Il Pnc è la vittima sacrificale del DL 19 che crea un monitoraggio straordinario durissimo per cancellare senza pietà le opere in ritardo e non appaltate. Entro maggio avremo un primo elenco e poi ogni sei mesi lo stesso esame. Molte di queste opere salteranno. Quante del totale di 30,6 miliardi previsto oggi? Dai toni del decreto – se il governo non farà sconti – si può ipotizzare non meno di 8-10 miliardi, considerando che dall’ultima relazione della Ragioneria solo il 36% degli investimenti aveva conseguito gli obiettivi nei tempi previsti, il 5% era stato posticipato, il 31% solo parzialmente conseguito e il 28% non conseguito affatto.
 

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