silenzio sui conti pubblici

Tacere sul Superbonus. L'opposizione non chiede conto a Giorgetti del buco di bilancio

Luciano Capone

Per ogni cosa, anche per le siocchezze, al governo viene detto: "Venga a riferire in Parlamento". Ora che l'Istat certifica uno sforamento di 40 miliardi nel 2023 per il bonus edilizio l'opposizione non chiede niente e il ministro non dice nulla

Venerdì l’Istat ha svelato dati impressionanti: nel 2023 il deficit è stato del 7,2%, circa due punti sopra il 5,3% previsto dal governo pochi mesi fa. E questo perché la spesa pubblica per il Superbonus è completamente fuori controllo, oltre 40 miliardi in più rispetto alle stime di settembre. Di fronte a un buco di Bilancio senza precedenti, a distanza di quasi una settimana, nessuna forza politica ha chiesto al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di riferire in Parlamento cosa è successo e quali sono le ricadute su quest’anno. Non interessa. Ciò che  anima le discussioni e le preoccupazioni delle forze di opposizione a Giorgia Meloni sono le elezioni in Abruzzo e l’intesa sulla candidatura in Basilicata: con Chiorazzo o senza?

 

Eppure l’Italia è un paese in cui quando accade qualsiasi cosa, più o meno rilevante, la reazione immediata delle opposizioni è: “Il ministro venga a riferire in Parlamento!”. È successo molte volte anche in questa legislatura, dal caso Cospito con il ministro Nordio alle manganellate agli studenti di Pisa con il ministro Piantedosi passando per i problemi societari del ministro Santanchè. Ma non sono mancati casi meno rilevanti. Il ministro Crosetto in un’intervista a un giornale dice che c’è un’opposizione giudiziaria al governo? “Venga a riferire in Parlamento!”. Il ministro Lollobrigida ferma un treno a Ciampino? “Venga a riferire in Parlamento!”. E così via... Ma se l’Istat certifica che i conti pubblici del 2023 sono tutti sballati di una quarantina di miliardi e che quindi, di conseguenza, sono saltate anche tutte le previsioni del Documento programmatico di bilancio per il 2024 e gli anni futuri, allora non fa niente. Nessuno chiede a Giorgetti di chiarire, di spiegare cos’è successo, com’è possibile che le strutture tecniche del Mef non siano più in grado di elaborare previsioni attendibili.

 

Tutt’altra cosa se invece il ministro dell’Economia avesse preso un caffè al bar senza farsi fare lo scontrino, se avesse lasciato l’auto in divieto di sosta o se avesse fatto accompagnare un familiare con l’auto blu da qualche parte. In tutti questi casi, dall’opposizione sarebbe partito in coro un sonoro e polifonico: “Venga a riferire in Parlamento!”. Se invece l’Istat certifica che mancheranno 40 miliardi, ovvero che nei prossimi cinque anni si potranno spendere 8 miliardi in meno ogni anno per tagliare le tasse, confermare il taglio dei contributi per i lavoratori, finanziare la sanità, l’istruzione, le infrastrutture, la difesa, allora il ministro può starsene tranquillamente in silenzio. Cosa che Giorgetti, già abbastanza taciturno di suo, sta facendo. Perché a parte una dichiarazione venerdì, subito dopo la pubblicazione dei dati, in cui afferma che  “i numeri ci dicono che l’emorragia dell’irresponsabile stagione del Superbonus ha avuto un effetto pesante sul 2023, andando purtroppo oltre le già pessimistiche prospettive” e che “con la non semplice chiusura di quella stagione, la finanza pubblica dal 2024 intraprende un sentiero di ragionevole sostenibilità”, Giorgetti non ha detto più nulla, né il Mef ha fornito dati puntuali con l’andamento della spesa dopo la revisione dell’Istat. 

 

Don’t ask, don’t tell. Non chiedere, non dire. Il rapporto tra Parlamento e governo sul Superbonus ricorda il nome della vecchia policy degli Stati Uniti sugli omosessuali nell’esercito. Dietro a questo atteggiamento c’è sicuramente una profonda mancanza di cultura economica e di consapevolezza dell’importanza dell’equilibrio di bilancio, che se d’altronde ci fossero state il Superbonus non solo non sarebbe mai stato approvato ma nemmeno concepito. Ma c’è anche una lunghissima coda di paglia. Perché, naturalmente, le opposizioni chiedono al governo di riferire alle Camere quando pensano di poterlo incalzare e metterlo in difficoltà. In questo caso, il rischio per il Pd e il M5s è che Giorgetti – che da oltre un anno fa critiche molto dure al Superbonus – riversi sulle opposizioni le responsabilità dello sfascio dei conti che, tra l’altro, ha ipotecato la politica economica del governo Meloni per tutta la legislatura. Quindi è meglio non smuovere le acque.

 

D’altro canto, Giorgetti aveva promesso una stretta sul Superbonus con il decreto del febbraio 2023 e, invece, alla fine è stato l’anno con la spesa più elevata di sempre (76 miliardi contro 54 miliardi nel 2022 e 17 miliardi nel 2021). Alle opposizioni non interessa chiedere chiarimenti al ministro, al ministro non interessa dire cosa è successo e perché il Mef ha sbagliato le previsioni. A tutti conviene mettere la polvere sotto al tappeto, anche se 40 miliardi sono difficili da nascondere. È una specie di tregua: sul Superbonus meglio tacere. Ma sul resto è guerra aperta. Appena verrà fuori il caso di un ministro che non ha pagato una multa: “Venga a riferire in Parlamento!”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali