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L'intervista

"Fitto e le Zes? Il governo sta sbagliando sul Sud e pagherà un prezzo elettorale". Parla Giorgio La Malfa

Mariarosaria Marchesano

Tutto cambia per non cambiare nulla, secondo l'economista e politico, che non a caso evoca uno scenario gattopardesco nel definire un "grande errore" quello commesso dal ministro per gli Affari europei e il Sud 

“Il governo Meloni sta cominciando a pagare un prezzo elettorale nel Mezzogiorno e andrà sempre peggio. E sapete perché?”. Giorgio La Malfa, figlio di Ugo, economista e politico, più volte parlamentare, quattro volte ministro del Bilancio negli anni Ottanta e ministro per le Politiche europee nel governo Berlusconi ter, lo dice tutto d’un fiato, consapevole di esprimere un giudizio severo: “Quest’esecutivo non ha saputo impostare una corretta politica economica, il cambio di passo nella gestione della spesa pubblica per il Sud, a cui ha improntato la revisione del Pnrr e lo stravolgimento delle Zone economiche speciali, ha suscitato grandi aspettative ma non produrrà risultati concreti”.

 

 

Tutto cambia per non cambiare nulla, secondo La Malfa, che non a caso evoca uno scenario gattopardesco nel definire un “grande errore” quello commesso dal ministro per gli Affari europei e il Sud, Raffaele Fitto, quando non ha voluto vedere una semplice verità: “Per spendere in modo efficace le risorse destinate allo sviluppo economico e produttivo – dice La Malfa – ci vuole un ente dedicato come lo è stato a suo tempo la Cassa per il Mezzogiorno. Che piaccia o no, l’attuale assetto della pubblica amministrazione in Italia non consente una gestione efficace dei fondi europei e statali, e a nulla serve togliere poteri agli enti locali per accentrarli a Roma, nei ministeri, perché è anche peggio”. Non le sembra un po’ anacronistico rimpiangere la Casmez? “Bisognerebbe sapere perché e com’è nata la Cassa: il governo De Gasperi chiese alla Banca mondiale risorse per accelerare lo sviluppo del Mezzogiorno nel dopoguerra. Da lì risposero che andava bene, a patto che l’Italia costituisse un ente terzo dotandolo di poteri speciali oltre che di una visione strategica. Fu posta questa condizione perché, precedentemente, il nostro paese non era riuscito a impiegare appieno le risorse del Piano Marshall per le stesse ragioni per cui fa fatica a spendere oggi i soldi del Pnrr”. 

Ma proprio l’inefficienza delle amministrazioni locali ha spinto Fitto a rivedere l’impostazione del piano europeo, mentre estendere semplificazione burocratica e incentivi fiscali da otto  Zes, come ipotizzato dai governi precedenti, a un’unica Zes per tutto il Sud dovrebbe essere un vantaggio, non trova? “È da ingenui pensare che bastino questi due elementi per attirare investimenti nel Mezzogiorno. Se vogliamo convincere aziende di Treviso o di Padova o addirittura estere ad andare al Sud, è necessario offrire loro condizioni molto speciali in termini di sicurezza, di infrastrutture materiali e di digitalizzazione. È evidente a tutti che non ci sono le risorse per creare queste condizioni in un’area tanto vasta quanto tutto il Mezzogiorno, ma lo si può fare in territori circoscritti. Certo, mi rendo conto che per un politico dire, per esempio, che la Sicilia occidentale si svilupperà di più di quella orientale, o viceversa, è un problema in termini di consenso. Però è proprio questo il punto: avere il coraggio di fare delle scelte”. 

Intanto, però, la scelta fatta da Palazzo Chigi è andata nella direzione opposta. Le otto vecchie Zes tra qualche giorno non esisteranno più, al loro posto sarà attiva la Zona economica speciale unica che comprenderà tutto il Mezzogiorno. Solo che la macchina da qualche parte si è inceppata. Lunedì il Consiglio dei ministri ha approvato una norma in base alla quale gli attuali commissari hanno ancora trenta giorni per chiudere le pratiche avviate. Nulla dice, però, il provvedimento sui progetti che dal primo marzo potrebbero, in teoria, essere avviati nel Mezzogiorno. L’impressione, osserva La Malfa, è che si sia creato un vuoto pericoloso anche dal punto di vista dei rapporti tra governo e imprese, che prima o poi peserà nelle urne. “Un certo elettorato capirà che ci troviamo di fronte a una manovra alla vecchia maniera democristiana, la Zes unica accontenta un po’ tutti ma in termini di politica economica è irrilevante. Ed è un peccato. Mi è capitato di partecipare  personalmente agli studi che Mediobanca e Unioncamere hanno realizzato nell’ultimo decennio sul tessuto delle medie imprese italiane. Ebbene, le realtà che operano in alcuni distretti del Sud risultano essere in linea con il resto del paese e talvolta anche più dinamiche. Non sono tante, 250, pari a circa l’8 per cento del totale nazionale. Ma ci dicono che c’è una base su cui lavorare. Per ottenere risultati, bisogna agire in maniera chirurgica e non generalizzata, come vuol fare questo governo”.

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