John Elkann - foto Ansa

Editoriali

John Elkann si è fermato a Roma per far pace con il governo

Redazione

Il presidente di Stellantis incontra Mattarella, Giorgetti e Panetta, con il comandante dei carabinieri Luzi e l’ambasciatore americano Jack Markell. La voglia di appeasement con Meloni è alta

A molti ha ricordato le discese di Gianni Agnelli nella capitale quando amava vedere i vertici delle istituzioni, a cominciare dal presidente della Repubblica. Ieri John Elkann ha ripercorso gli stessi passi incontrando il presidente Mattarella, il ministro dell’economia Giorgetti, il governatore della Banca d’Italia Panetta, il comandante dei carabinieri Luzi e, particolare non di minore importanza, l’ambasciatore americano Jack Markell.

 

La discesa a Roma, che era programmata da tempo, avviene mentre la tensione con il governo Meloni è al massimo. Le accuse si sono fatte politiche, la premier è arrivata a parlare di una francesizzazione spinta a scapito dell’Italia. Nel comunicato con il quale ha smentito le voci su un accordo con Renault, Elkann ha tenuto a specificare che Stellantis “è concentrata sull’esecuzione del piano strategico Dare Forward  per rafforzare la sua attività in ogni mercato dove è presente, inclusa l’Italia”. Inoltre il presidente ha aggiunto che “Stellantis è impegnata al tavolo automotive promosso dal ministero delle Imprese, che vede uniti il governo italiano con tutti gli attori della filiera nel raggiungimento di importanti obiettivi comuni per affrontare le sfide della transizione energetica”.

  

Uniti magari è eccessivo, ma dimostra la voglia di appeasement. Uno spirito che Mattarella, sempre attento a spegnere i fuochi, avrà apprezzato. La cassa integrazione a Mirafiori (un mese intero), l’annuncio di Carlos Tavares che  Pomigliano d’Arco è in pericolo, la concorrenza cinese: si accumulano nubi tempestose e nuove mega-fusioni portano anche a tagli e chiusure di impianti. C’è dell’altro? Sul tavolo di Giorgetti c’è il finanziamento degli incentivi. Ma nei cortili del Palazzo ieri ci si chiedeva se non si sia parlato anche di un  ingresso dello stato italiano nella compagine azionaria. E per questo serve anche la Banca d’Italia: formalmente non c’entra, ma è essenziale per garantire la solidità finanziaria dell’Italia nonostante il suo gigantesco debito. Per questo, non basta la parola del Tesoro.

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