Il governo Meloni alla Camera - foto Ansa

L'editoriale del direttore

Alla fine sono le tasse a mandare in tilt il governo

Claudio Cerasa

Gli agricoltori infuriati per l’Irpef. Le banche minacciate sugli extraprofitti. E poi i benzinai, i locatori, i lavoratori all’estero e gli evasori che sono come i "terroristi". Cosa ci dicono di Meloni i mille guai dell'esecutivo sulle imposte

Dovevano essere la loro delizia, sono diventate la loro croce. Di cosa parliamo? Semplice: delle tasse. La storia la ricorderete. Il centrodestra è arrivato alla guida dell’Italia forte di una promessa granitica: sulle tasse, vedrete, vi sarà una discontinuità totale con i governi del passato, che prima del nostro arrivo si sono rivolti spesso ai cittadini con lo stesso approccio dei Dracula, pronti a succhiare via agli italiani i loro risparmi a colpi di tasse. Un anno e mezzo dopo la nascita del governo si può dire che per Meloni le tasse sono state finora lo specchio perfetto più delle proprie difficoltà che delle proprie identità. Si scrive tasse, si legge realtà. L’ultimo caso eclatante, su questo fronte, è quello che riguarda la protesta degli agricoltori. I più importanti esponenti del centrodestra, spiazzati probabilmente dal fatto che la Coldiretti che ha dettato finora l’agenda al governo abbia espresso solidarietà agli agricoltori che criticano il governo, da giorni sostengono di essere vicini alle proteste del popolo dei trattori. Ma nel farlo omettono di ricordare una piccola verità.
 

In Europa, il popolo dei trattori protesta per molte ragioni, che differiscono da paese a paese. In Italia, però, la ragione principale che ha spinto gli agricoltori ad andare in piazza è legata a una scelta fatta dal governo, proprio sulle tasse: non confermare, nell’ultima manovra, le agevolazioni Irpef sui redditi agricoli (valore: 248 milioni di euro). Gli agricoltori dunque protestano perché il governo che doveva bruscamente abbassare le tasse ha scelto di rialzarle, quantomeno agli agricoltori. E non si può dire che sia la prima volta che sulle tasse il governo entri in sofferenza. È successo già tre giorni fa, quando il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha utilizzato per gli evasori un’espressione che neppure i Dracula della sinistra avrebbero mai usato, “l’evasione è come il terrorismo”. Ma soprattutto, in questi mesi, è già successo altre volte di vedere il centrodestra andare in tilt sul proprio terreno: le tasse.
 

Sono state le tasse, o almeno una piccola forma di tassa, ad aver messo il governo di fronte all’impossibilità di realizzare molte sue premesse (nel gennaio del 2023 il governo Meloni scelse di non destinare risorse per abbassare le accise sulla benzina, cosa che aveva promesso: valore 750 milioni al mese). Sono state le tasse ad aver fatto traballare per la prima volta il governo di fronte ai mercati, quando il presidente del Consiglio, in una recrudescenza populista, decise di colpire le banche con una tassa sugli extraprofitti (tassa poi rivista, svuotata e infine confermata con un gettito previsto da parte del governo pari a zero euro). E sono state ancora le tasse ad aver costretto il governo a legittimare, su questo terreno, le azioni “disastrose” del governo precedente. Sia riconfermando come capo dell’Agenzia dell’entrate lo stesso direttore (Ernesto Maria Ruffini) che ha lavorato con diversi governi del passato (Renzi, Gentiloni, Conte II, Draghi). Sia utilizzando come unica forma di riduzione delle tasse nell’ultima manovra lo stesso taglio del cuneo fiscale temporaneo (da quattro miliardi) che aveva ideato Draghi nel 2021.
 

Maria Elena Boschi, ex ministro ed ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, qualche giorno fa, in un discorso alla Camera, ha messo in fila altri casi utili a testimoniare il rapporto complicato tra Meloni e le tasse. Meloni ha rivisto le regole per i lavoratori che trasferiscono la loro residenza in Italia dopo aver vissuto alcuni anni all’estero: dovranno pagare imposte più alte. Meloni ha aumentato le tasse per i lavoratori transfrontalieri che risiedono in Italia e lavorano in un altro paese. Ha reintrodotto le tasse (imposta di registro, ipotecaria, catastale, sostitutiva, di bollo  e Iva) per l’acquisto della prima casa da parte dei giovani under 36. Ha aumentato l’Iva su pannolini, latte in polvere, prodotti per la prima infanzia e seggiolini. Ha aumentato la cedolare secca sulle locazioni brevi portandola al 26 per cento dal 21 per cento precedente. Ha aumentato l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero – dallo 0,76 all’1,06 per cento – raddoppiando anche l’aliquota per i prodotti finanziari detenuti in stati o territori a regime fiscale privilegiato  (dal 2 al 4 per mille annuo). Ha introdotto una tassazione al 26 per cento sulle plusvalenze realizzate da chi vende un immobile oggetto di Superbonus. Ha cancellato il dimezzamento dell’Iva per l’acquisto di case green. Ha depotenziato il bonus mobili (le spese detraibili al 50 per cento  portate da ottomila a cinquemila euro). E non ha escluso di aumentare le addizionali regionali e comunali per compensare il taglio provvisorio dell’Irpef. In verità, come si legge dal Documento di economia e finanza approvato dal governo lo scorso dicembre, per l’anno in corso la previsione dell’esecutivo è quella di abbassare di due decimali la pressione fiscale (portandola al 42,3 per cento) rispetto al 2023 (42,5 per cento) e di quattro decimali rispetto al 2022 (42,7).
 

Dunque, dire che genericamente il governo ha alzato le tasse è sbagliato. Ne ha alzate molte, è entrato in crisi su alcune decisioni prese ma soprattutto, attraverso le tasse, ha dovuto fare i conti ancora una volta con la realtà: se non hai il coraggio di tagliare la spesa pubblica, il massimo che potrai fare con le tasse è alzare una tassa di qua e rialzarla di là, sperando poi di avere qualcuno che faccia tornare i conti imponendo gli odiati Pos in tutta Italia (grazie al governo Meloni, che i Pos li odiava, oggi anche le tabaccherie sono costrette ad averlo) e andando a combattere l’evasione come si fa con il terrorismo (gettito, please). Due lezioni utili, dunque. Per abbassare le tasse, serve uno spicchio della motosega di Milei. E abbassare le tasse giocando con i bonus rischia prima o poi di farti avere un trattore sotto casa guidato da qualcuno che protesta per aver perso dei privilegi che erano temporanei che invece si consideravano eterni. Benvenuti nel governo delle tasse. Finora più croce che delizia per il governo degli anti Dracula.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.