costruttori preoccupati

Quale futuro per l'edilizia dopo lo sboom del Superbonus?

Giorgio Santilli

Le previsioni dell'Ance: -7,4% di investimenti in costruzioni per il 2024 e -27% in manutenzione straordinaria. L’allarme è ai massimi livelli sullo spostamento di investimenti, obiettivi e rate del Pnrr

Il Superbonus in agonia che pure contabilizza lavori per ben 44 miliardi nel 2023, 9 più che nel 2022. I comuni che appaltano 24 miliardi nel 2023 (si veda Il Foglio del 27 gennaio) ma vengono stoppati sul Pnrr di cui sono al momento l’unico motore attivo: nonostante questo, segnano una crescita della spesa in conto capitale del 41% (dati Ragioneria generale). Le grandi opere del Pnrr che erano partite bene ma ora accusano il rallentamento dei percorsi di autorizzazione (o gli scavi in galleria), al punto che costituiscono – ed è una sorpresa – un fattore di grande incertezza per il rispetto della scadenza del 2026, loro che sembravano quelle meglio posizionate in pista. L’assenza di una politica per la casa. L’assenza di una politica e di una legge per la rigenerazione urbana. La totale assenza di una qualunque prospettiva per il dopo-2026. La totale assenza di segnali sul “riordino degli incentivi” che pure tutti considerano necessario. La destinazione del 92% dei nuovi stanziamenti previsti dalla legge di bilancio 2024 al Ponte sullo Stretto e l’8% al resto d’Italia. Il sottotitolo della presentazione che i costruttori dell’Ance hanno fatto ieri del loro Osservatorio congiunturale potrebbe essere “come distruggere per il prossimo lustro un settore che nei tre anni passati aveva fatto oltre un terzo del pil” ovvero: “che politica alternativa ha il governo per la crescita?”

 

E la qualità della risposta la dà il rappresentante del partito di maggioranza, Marco Osnato (FdI), che parla di tornare ai tassi di crescita per il settore delle costruzioni del 5% annuo come prima del 2019 (ma dove li ha visti? Mai sentito parlare del decennio della grande crisi edilizia?) e incredibilmente si compiace del fatto che l’Istat abbia certificato per il 2024 una crescita acquisita dello 0,1% (ha buon gioco il renziano Luigi Marattin a rispondergli che ora bisogna moltiplicarla per dodici, se il governo vuole mantenere fede alle promesse della Nadef e soprattutto se vuole tenere in piedi i conti pubblici). Ma il titolo della giornata va inevitabilmente a quella previsione per gli investimenti in costruzioni di -7,4% per il 2024, per il crollo della manutenzione straordinaria (-27%) e una crescita effettiva della spesa in opere pubbliche limitata al +20% per l’effetto contenuto del Pnrr: arriva dopo il +29% del 2021, il +12% del 2022 e il +5% dello scorso anno.

 

La presidente dei costruttori, Federica Brancaccio, non si capacita di tanta confusione sul futuro, prova a chiedere un po’ di chiarezza e qualche risposta oltre la ruvidità dalla maggioranza sulla partita Superbonus. Una risposta la abbozza Alessandro Cattaneo (FI) dicendo che bisogna mettersi al lavoro sulla costruzione di un incentivo “lungo, costante e il più strutturato possibile”, mentre Antonio Misiani (Pd) propone di battere i pugni in Europa e chiedere un Pnrr-bis o un Fondo europeo per il clima che rendano possibile investire mentre la Ue chiede il massimo sforzo verso la decarbonizzazione. Mario Turco (M5s) e Marattin litigano sulla cessione del credito di imposta, la leva che tutto ha generato, lo sfascio dei conti pubblici, il sostegno al pil, la consapevolezza di massa che esiste un problema di efficienza energetica.

 

Scenari del dopo-2026, si dirà. Intanto l’allarme è ai massimi livelli sullo spostamento di investimenti, obiettivi e rate del Pnrr, tutti al 2026, con 11 miliardi che mancano all’appello quest’anno e il prossimo. “Vuoi vedere che proprio quando ci chiederanno il massimo sforzo per accelerare il Pnrr, non avranno la liquidità per pagarci?”, si chiedono i costruttori. Ed è sottinteso: ci dovrebbero pagare nei 30 giorni come da regola europea, che doveva diventare regola italiana, ma che il nuovo Pnrr ha spostato dal 2023 al 2025.

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