Foto LaPresse

I comuni hanno 24 miliardi di ragioni per essere delusi da Fitto

Giorgio Santilli

Dei 13 miliardi di progetti comunali nel Pnrr, 11,5 miliardi sono andati in gara o a procedura di affidamento e 7,5 miliardi sono stati aggiudicati, sono quindi appaltati

Nel 2023 sono state avviate in Italia procedure di appalto di lavori per 93,9 miliardi, un dato che frantuma pure il record storico del 2022, quando ci si fermò – si fa per dire – a 83 miliardi sotto la spinta allora montante del Pnrr. Per avere un termine di paragone, negli anni “ordinari”, precedenti al Pnrr, ci si attestava su valori annui inferiori ai 40 miliardi, meno della metà. Lo scorso anno nel solo mese di giugno il valore è schizzato a 23,6 miliardi. Se nel 2022 la quota attribuibile direttamente a lavori Pnrr era del 50 per cento, nel 2023 si è scesi al 40 per cento. Questa parte del lavoro è quasi finita e la spinta si sta trasferendo, sia pure lentamente, su fasi più avanzate del percorso: aggiudicazioni, apertura dei cantieri, avanzamento della spesa. Chi lamenta soltanto il basso livello di spesa effettiva, di cassa, effettivamente in ritardo, del Pnrr ribadisce le consuete difficoltà amministrative e progettuali italiane, ma ignora comunque lo straordinario esercizio cui il Pnrr ha costretto le amministrazioni. Sotto il livello delle terre emerse, la mole di lavoro è stata straordinaria.

In questa straordinarietà colpisce ancora oggi, nel Report Cresme appena reso noto sui bandi di gara 2023, il dato dei comuni. Le opere avviate dai sindaci nel 2022 avevano totalizzato 11,8 miliardi, nel 2023 il dato è più che raddoppiato a 24,6 miliardi. Se anche volessimo escludere il bando di gara per il termovalorizzatore di Roma, che da solo a novembre ha fatto 7 miliardi, saremmo comunque a una crescita del 50 per cento.

Fino a ottobre, la quota Pnrr per i comuni valeva il 44 per cento, circa 6,6 miliardi. Al netto del termovalorizzatore, significa 7,5 miliardi di appalti Pnrr (qui è compreso anche il Piano nazionale complementare) nell’intero 2023. Il Report considera anche il periodo 2021-2023 calcolando che le opere Pnrr-Pnc messe in appalto ammontano a circa 11,5 miliardi. Va anche aggiunto, e non è un particolare di poco conto, che in questa cifra non sono compresi gli appalti che Invitalia ha svolto per i comuni, parliamo di alcune migliaia di euro che vanno aggiunte. Queste cifre ci riportano inevitabilmente alle polemiche dei mesi scorsi e ancora in corso fra il ministro del Pnrr Raffaele Fitto e il presidente dell’Anci Antonio Decaro sullo stralcio delle opere comunali per 13 miliardi dal Pnrr. Alla fine, tre miliardi sono stati recuperati e dieci sono stati tagliati definitivamente (non è ancora chiaro, per altro, quali siano i progetti recuperati perché il decreto del Mef che deve sancirlo non è stato ancora pubblicato). Polemiche che possono anche aver stancato, ma che non avranno fine se non al momento in cui sarà chiaro quante risorse “nazionali” il governo metterà a disposizione per finanziare i progetti rimasti fuori. 

Dai numeri del Cresme appare chiara una cosa: Decaro non bluffava quando diceva che la gran parte di quei lavori era già andata in appalto. Si era risposto che solo una quota era arrivata a quello stadio, 3-4 miliardi, ma così non è da queste cifre. Un altro numero importante dice – sempre al netto del lavoro di Invitalia – che le aggiudicazioni Pnrr (cioè l’affidamento dell’appalto al vincitore della gara) dal gennaio 2021 a ottobre 2023 sono state pari a 6,2 miliardi di euro, da stimare a oltre 7 miliardi a fine 2023. Il quadro sembra dunque chiarirsi: dei 13 miliardi di progetti comunali nel Pnrr, 11,5 miliardi sono andati in gara o a procedura di affidamento e 7,5 miliardi sono stati aggiudicati, sono quindi appaltati. Numeri che aiutano a capire, considerando che la verifica promessa dal governo, progetto per progetto, sullo stato di avanzamento dei singoli progetti non è mai finita (o almeno non ne sono stati pubblicizzati i risultati). “Quello che i comuni non dicono è che la gran parte di quei progetti non sarebbe mai arrivata con la rendicontazione conclusa al 2026 e quindi avremmo dovuti stralciarli più avanti, a patto che la Ue ce lo facesse fare. Più probabile che quei soldi li avremmo persi”, dice oggi il ministro Fitto.

Il dato Cresme oggi dà ragione a Decaro e appare utile nella partita successiva alla revisione del Pnrr, quella del recupero dei fondi, che a fine mese dovrebbe essere sistemata con il “decreto Fitto”, appunto. La posizione del governo è finanziare – con il Piano nazionale complementare e il Fondo sviluppo coesione - una quota di questi progetti e farlo con una pianificazione graduale nel tempo che non metta troppa fretta ai comuni e al tempo stesso non stressi troppo le casse statali. I comuni vorrebbero almeno chiarezza sulle risorse che – dice Decaro – non devono lasciare nessuno indietro. Se è vero che la quasi totalità dei progetti prima assegnati al Pnrr è andata in appalto ed è comunque in corso sarà più difficile per il governo fare due pesi e due misure. 

Di più su questi argomenti: