Barilla - foto Ansa

a sorpresa

Barilla abbassa i prezzi e offre segnali al mercato sulla durata dell'inflazione

Dario Di Vico

L'azienda riduce gli importi tra il 7 e il 13,5 per cento, per pasta, biscotti e merendine fino a dicembre 2024. Il gesto riflette il senso di responsabilità dell'azienda di fronte alla stagnazione dei consumi. Un segnale di realismo che potrebbe influenzare il settore e stimolare la ripresa economica

Il segnale è di quelli inequivocabili ed è destinato a influenzare i comportamenti degli operatori e le tendenze del mercato. Con una mossa a sorpresa il gruppo Barilla ha deciso di tagliare i prezzi di cessione alla distribuzione dal 7 al 13,5 per cento per un periodo di tempo che andrà da febbraio a dicembre 2024 compreso. I prodotti interessati saranno pasta, biscotti e merendine e la motivazione parla di “grande senso di responsabilità” e di volontà di vedere “riconfermata la fiducia delle persone e degli stakeholder di riferimento”. La causa della clamorosa scelta è fin troppo facile da rintracciare: la stagnazione dei consumi e in particolare il calo del 10% della vendita di beni alimentari. Una condizione che un leader di mercato e un colosso come Barilla non può sopportare a lungo, in virtù dei 15 stabilimenti che ha in Italia, di cui tre sono addirittura primo, secondo e terzo nella graduatoria dei più grandi impianti di pasta al mondo. Insomma i margini sono importanti ma primum vivere ovvero far girare le macchine, dare prospettive stabili ai 5 mila dipendenti del gruppo e ritrovare la fiducia dei consumatori. Di conseguenza chapeau ai Barilla e all’iniezione di realismo che si sono auto-praticati: la lotta all’inflazione non è ancora vinta (soprattutto nei beni alimentari) e i consumi devono ripartire se vogliamo che il rallentamento dell’industria non si prolunghi sine die. 

Il realismo parmense segna però, e va detto, una chiara discontinuità rispetto alle scelte che l’industria di marca aveva adottato non nel secolo scorso ma solo qualche mese fa. Il varo dell’operazione del Carrello Tricolore, infatti, non si è rivelata quel successo che avrebbe dovuto/potuto essere anche per le scelte dei grandi brand come Barilla, che erano sostanzialmente rimasti a guardare e non avevano firmato quel patto di filiera con la grande distribuzione che si sperava. È vero che poi il governo e il ministro competente si sono mossi in maniera maldestra, è vero che la grande distribuzione si è impegnata a singhiozzo sull’operazione ma, con il senno di Parma, si può tranquillamente dire che l’industria ha sottovalutato il problema. Non va dimenticato, infatti, che Paolo Barilla presiede Unionfood, l’associazione degli industriali dolciari e pastai, fa parte del consiglio direttivo di Centromarca e al tempo del varo del Carrello aveva partecipato ai tavoli istituzionali. Ha avuto di conseguenza ampia voce in capitolo nelle decisioni prese. Ora si vedrà se la mossa di uno dei leader di mercato finirà per generare effetti imitativi a catena, di sicuro il negoziato che ogni anno di questi tempi si tiene tra industria e distribuzione per decidere i listini avrà un ulteriore (e autorevole) input sul quale ragionare. Del resto se c’è un risultato che il Carrello Tricolore ha sicuramente segnato è stato l’ulteriore aumento della quota di vendite della cosiddetta Marca del distributore (o private label che si voglia chiamare) arrivata al 30% delle scelte dei consumatori. Un incremento che può aver anche originato qualche riflessione in più nei quartier generali dei brand più celebrati.

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