Ansa

Il paradosso

La tassa Pichetto-Salvini-Schlein-Conte sulle bollette dei vulnerabili

Carlo Stagnaro

Una riforma utile ai consumatori e necessaria ai fini del Pnrr e coerente con gli obiettivi della transizione ecologica come quella sul mercato tutelato dell'energia rimane orfana: ripudiata dai genitori biologici (il Pd) e da quelli adottivi (il centrodestra) e anche dal patrigno (Il Movimento 5 stelle)

Per tre mesi si è discusso furiosamente del superamento della “maggior tutela”, come se fosse una questione di vita o di morte e da cui dipendeva la sorte del governo. La faccenda è uscita dal radar del dibattito pubblico proprio quando, invece, avrebbe dovuto suscitare il massimo dell’attenzione. Il 10 gennaio, infatti, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) ha aperto le buste con le offerte dei fornitori che si sono candidati a prendere in carico 4,5 milioni di clienti non vulnerabili, finora serviti nell’ambito del servizio di “maggior tutela”. Il contenuto di quelle buste non è ancora noto: verrà diffuso dall’Autorità il 6 febbraio. Le indiscrezioni, però, parlano di un risparmio attorno ai 120 euro all’anno.

Sappiamo, dunque, che i clienti interessati – che sono stati suddivisi in 26 lotti di dimensioni simili – pagheranno bollette più leggere a partire dal 1 luglio, quando passeranno ai nuovi fornitori. Lo ha confermato il presidente dell’Arera, Stefano Besseghini, domenica scorsa su Repubblica. Besseghini ha sottolineato che la partecipazione è stata numerosa (ben 20 società) e che le offerte presentate sono state “molto spinte”. Talmente spinte che il bravo Luca Pagni, autore dell’intervista, sembrava più preoccupato dei prezzi “in perdita” offerti dalle imprese “pur di aggiudicarsi” i clienti che del rischio di rincari. E il presidente dell’Arera ha dovuto rassicurarlo che “se ci saranno atteggiamenti predatori li controlleremo”.

Le parole di Besseghini, e la questione sollevata da Pagni, sono in netto contrasto con l’intonazione dell’intero dibattito nei mesi scorsi: il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, aveva cercato in ogni modo di rinviare la liberalizzazione; il leader della Lega, Matteo Salvini, aveva parlato di “un errore che ci siamo trovati sul tavolo”; la stessa premier, Giorgia Meloni, aveva cercato di allontanare da sé l’amaro calice della liberalizzazione. Né dalla sinistra, che la riforma in fondo l’aveva voluta, sono giunte parole rassicuranti: il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani, paventava “una stangata”, la responsabile energia e ambiente Annalisa Corrado attaccava il “capitalismo da rapina” dei venditori e la segretaria Elly Schlein preconizzava “aumenti medi del 34 per cento”.

Invece, le bollette scenderanno e la concorrenza crescerà. Le aste sono state congegnate in modo tale da ridurre la concentrazione del mercato, oggi dominato dal principale operatore che ha una quota del 60 per cento. La gara aveva un tetto del 30 per cento ai lotti aggiudicabili da un singolo soggetto (quindi un massimo di sette) sicché, a partire da luglio, il panorama sarà molto diverso: Enel ha vinto sette lotti così come Hera, Edison quattro, Illumia tre, Iren e A2a due a testa, E.On uno.

Tutto è bene quel che finisce bene? Non esattamente. Le polemiche delle scorse settimane hanno lasciato strascichi e avuto conseguenze. Infatti, i consumatori non vulnerabili, che avrebbero potuto beneficiare dei prezzi più contenuti già da aprile, dovranno attendere fino a luglio. I vulnerabili – che sono stati esclusi dalle aste – continueranno a pagare prezzi più salati del necessario. La reputazione di un intero settore è stata gravemente compromessa e tutto ciò sarebbe stato inutile se il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto e pochi parlamentari maggioranza (come Luca Squeri) e di opposizione (come Enzo Amendola e Luigi Marattin) non avessero tenuto il punto. Inoltre, i consumatori sono oggi confusi, perché, mentre la disinformazione imperversava, la campagna di informazione prevista fin dal 2017 non è ancora stata varata (e solo recentemente si è trovato un milione di euro per finanziarla).

Il paradosso è che una riforma utile ai consumatori, necessaria ai fini del Pnrr e coerente con gli obiettivi della transizione ecologica – perché contribuisce a mettere i consumatori al centro del sistema elettrico – rimane orfana, ripudiata dai genitori biologici (il Pd) e da quelli adottivi (il centrodestra) e anche dal patrigno Giuseppe Conte del M5s che, pur avendo sempre avversato la riforma, era rimasto afono al suo inserimento nel Pnrr

Così, nessuno può né vuole intestarsi quello che è a tutti gli effetti un piccolo passo nella direzione giusta. E nessuno potrà o vorrà spiegare perché quella che Schlein chiamò “tassa Meloni” è invece la “tassa Pichetto-Salvini-Schlein-Conte”: la pagheranno i clienti vulnerabili che, per acclamazione bipartisan, dovranno sborsare più di 100 euro l’anno per il privilegio di sentirsi “maggiormente tutelati”.