Conti e prospettive

Sul bilancio non c'è bisogno di gonfiare i numeri per mostrare i guai di Meloni

Luciano Capone

L'opposizione, Conte in primis, agita un dato: il governo è già sotto di 30 miliardi per la prossima manovra. Non è così. Le risorse da recuperare per rifinanziare il taglio del cuneo e rispettare le regole europee sono la metà. Più probabilmente un terzo

La situazione non è semplice, i margini per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono molto stretti, ma proprio per questa ragione non c’è bisogno di esagerare sul “rosso” da cui il governo Meloni parte per la prossima legge di Bilancio. Da qualche giorno, o meglio dalla conferenza stampa di inizio anno della premier, viene diffusa la cifra di 30 miliardi. Tanti sarebbero i soldi che il governo deve trovare prima di pensare a qualsiasi altra nuova misura.

 

Ne hanno parlato prima alcuni giornali e ieri, intervistato dalla Stampa, Giuseppe Conte: “Di cosa è soddisfatta? – dice il leader del M5s riferendosi a Giorgia Meloni – Dei 12 miliardi di tagli che dovremo fare ogni anno? Se consideriamo solo il finanziamento del taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef arriviamo a una manovra correttiva per il 2024 che si aggira intorno a 30 miliardi”. Innanzitutto, non sarebbe questa l’entità di un’eventuale manovra correttiva, dato che la Commissione non chiederebbe un tale aggiustamento per il 2024 e che il taglio del cuneo fiscale è già finanziato per quest’anno.

 

Ma il dato è fortemente esagerato anche considerando la manovra per il 2025. Le risorse che il governo dovrà recuperare, aumentando le tasse o riducendo la spesa, non sono “30 miliardi”. Ma meno della metà. Più probabilmente un terzo. Non è ben chiaro se il dato sia stato diffuso prima da Conte e poi rilanciato dalla stampa, o viceversa. In ogni caso, l’errore sta nel contare un paio di volte l’aggiustamento fiscale richiesto dalle nuove regole fiscali europee. Il calcolo, brevemente sintetizzato nell’intervista da Conte, è questo. Il governo dovrà trovare 15 miliardi per rifinanziare il taglio del cuneo fiscale (circa 11 miliardi di decontribuzione e 4 miliardi per l’Irpef) e poi per rispettare i paletti del nuovo Patto di stabilità 12 miliardi (tanto è la correzione richiesta secondo le stime del think tank Bruegel) più qualche altro miliardo per altre misure in scadenza (tipo le uscite anticipate per le pensioni). Totale: 30 miliardi, circa.

 

Le cose, però, non stanno così. Perché nella Nadef e nel Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles, il governo italiano già prevede per il 2025 un miglioramento del bilancio strutturale di 0,5 punti (ovvero 10 miliardi), che è all’incirca quanto richiesto dalle regole fiscali europee. Se, come è prevedibile, nel 2024 l’Italia insieme ad altri paesi europei entrerà in procedura per deficit eccessivo, l’impostazione di bilancio approvata con l’ultima manovra che prevede un rientro sotto il 3 per cento entro il 2026 è già grosso modo adempiente con le richieste di Bruxelles. L’aggiustamento dovrebbe poi proseguire anche negli anni successivi, accompagnato da una riduzione del debito pubblico, fino a raggiungere un margine di sicurezza dell’1,5 per cento di deficit.

 

Come ha scritto il Mef e come ha certificato l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), l’aggiustamento fiscale italiano è “coerente” con il Patto di stabilità per il 2024 ma anche per gli anni successivi: “Per il triennio 2024-2026, l’evoluzione programmatica del disavanzo in rapporto al pil stabilita nella Nadef, se effettivamente conseguita, sarebbe compatibile con le indicazioni della proposta di riforma del sistema di governance economica della Ue nel caso di un aggiustamento di bilancio in sette anni”. I “12 miliardi di tagli” di cui parla Conte sono cioè già inclusi nel tendenziale per il 2025, non c’è bisogno quindi di alcuna “manovra correttiva”. 

 

Restano ovviamente fuori i 15 miliardi di taglio del cuneo fiscale, che valgono circa 0,7 punti di pil. È, in sostanza, la scadenza di questa detassazione la correzione dei conti promessa dall’Italia. Sono pertanto queste le risorse da recuperare. La metà dei 30 miliardi di cui si parlava all’inizio. Però, com’è noto, l’accordo sul Patto di stabilità raggiunto all’Ecofin di dicembre prevede una sorta di “sconto” sull’aggiustamento, fino al 2027, per l’aumento della spesa per interessi che dovrebbe ridurre di 0,2 punti lo sforzo richiesto all’Italia. Potrebbero essere circa 4 miliardi in meno. Si arriva, così a 11 miliardi. Quasi un terzo della previsione iniziale.


Naturalmente, molto dipenderà anche dall’evoluzione del quadro macroeconomico e quindi dalla crescita e dal raggiungimento di obiettivi ambiziosi come le privatizzazioni (20 miliardi in tre anni). Ma anche considerando le stime della Commissione Ue, che prevede una crescita più bassa (0,9 per cento contro 1,2 per cento del governo) e che già incorpora la proroga del taglio del cuneo fiscale nel 2025, l’aggiustamento fiscale richiesto (includendo lo sconto sugli interessi passivi) non dovrebbe discostarsi da 0,5-0,6 punti. Dieci-dodici miliardi. Si tratta, in sostanza, della stessa situazione della legge di Bilancio appena approvata con la differenza che nel prossimo autunno il governo non potrà per il 2025 finanziare la decontribuzione aumentando il deficit di 0,7 punti come ha fatto nel 2024.

 

Non significa che per Meloni e Giorgetti sarà una passeggiata, soprattutto se la crescita dovrà essere sotto le ottimistiche previsioni del governo. Il governo dovrà fare altre scelte difficili, contraddittorie rispetto alle promesse elettorali. Ma proprio per questa ragione non c’è alcun bisogno di gonfiare i numeri. Anche perché rischia di diventare controproducente per le stesse opposizioni: quando e se il governo riuscirà a chiudere la prossima manovra sembrerà di aver raggiunto un risultato molto più difficile di quanto sia nella realtà.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali