Il ministro dell'Economia Giorgetti - foto Ansa

L'analisi

Quanto interessa al Mef incentivare la capitalizzazione d'impresa: “zero”

Oscar Giannino

Nel corso del 2023 la crescita si è appiattita trimestre dopo trimestre su percentuali dello zerovirgola. Nonostante i decreti approvati per la manovra, l'abrogazione dell'Aiuto alla crescita economica (ACE) è stato un errore bestiale del quale si è parlato troppo poco

Trimestre dopo trimestre, in questo 2023 la crescita degli investimenti di industria e manifattura si è appiattita su aumenti percentuali dello zerovirgola. Molti fattori hanno concorso: la frenata tedesca ed europea, l’incertezza sugli incentivi Industria 4.0 reduci da due anni di tagli, ripromessi dal governo Meloni ma poi assenti dalla legge di bilancio perché spostati nel RePower ITA che Bruxelles ha validato e tagliato sole poche settimane fa ergo ancora non se ne conoscono i decreti attuativi, nonché il dubbio su quando e come si sarebbe davvero articolata l’attuazione della delega fiscale per quanto riguarda le imprese. I due decreti legislativi di attuazione connessi alla legge di bilancio varati a ottobre sono concentrati sulla riforma per un solo anno del primo scaglione Irpef e alla decontribuzione per lavoratori a meno reddito, per le imprese si incentiva solo l’assunzione di lavoratori appartenenti a “categorie fragili”. Ma per le imprese c’è invece un colpo sparato in mezzo agli occhi per disincentivarle a investire. Se n’è parlato solo tra addetti a lavori. Ma l’abrogazione dell’ACE è un errore bestiale. Onore all’Ufficio Parlamentare del Bilancio che ha lanciato un analitico grido d’allarme sul tema un mese fa.

L’ACE, nata 12 anni fa, mirava a ristabilire la neutralità fiscale della tassazione del reddito di impresa rispetto alle fonti di finanziamento. Cioè a controbilanciare la deducibilità degli interessi passivi come remunerazione del capitale di debito, prevedendo la deducibilità anche della remunerazione figurativa del capitale proprio. È un tema importate, spingere le imprese a reinvestire e a ispessire il capitale proprio, piuttosto che a indebitarsi. Perché allora abrogare l’ACE, a parte far pagare alle società di capitale – la platea ACE – il taglietto dell’Irpef  a chi ha meno? La scomparsa dell’ACE è una modifica strutturale del disegno dell’imposta sul reddito delle imprese, è la rinuncia alla neutralità tributaria sulla scelta delle fonti di finanziamento. Quando per anni si è detto e ripetuto che la prevalenza di imprese familiari, la ridotta portata del mercato azionario e un sistema fiscale che ha a lungo nettamente favorito l’indebitamento sugli apporti di capitale di rischio, hanno tutti concorso a sbilanciare il finanziamento verso capitale di terzi. L’abrogazione è contraria alla raccomandazione europea in materia, che nel 2022 ha invitato i legislatori nazionali a promuovere la convenienza degli apporti di capitale proprio. Invece, si ripristina la maggiore convenienza fiscale per il finanziamento con capitale di terzi. Cioè si dice alle imprese: è meglio che vi indebitiate. E si sceglie di farlo proprio ora, quando le imprese sono chiamate a uno sforzo immenso di investimento, tra doppia transizione e colossale gara internazionale USA-Cina a chi garantisce più miliardi di dollari a chi investe in tecnologie di punta. Dice il governo che l’abrogazione dell’ACE è giusta, perché più avanti con l’attuazione della delega fiscale le imprese avranno un’Ires ad aliquota agevolata se reinvestono gli utili. Una tesi che non sta in piedi. Quando mai ci fosse l’aliquota premiale Ires come descritta in legge delega, cioè l’applicazione di un’aliquota di imposta ridotta sugli utili impiegati nella realizzazione di investimenti nei due periodi d’imposta successivi alla loro realizzazione, ciò compenserebbe solo parzialmente l’asimmetria di trattamento delle fonti di finanziamento che si determina abrogando l’ACE.

L’aliquota Ires ridotta si differenzierebbe rispetto all’ACE sia per il perimetro di applicazione che per la distribuzione temporale. Inoltre l’ACE consiste in un’esenzione della remunerazione calcolata sullo stock delle variazioni patrimoniali, mentre la nuova agevolazione ancora di là da venire prevede l’applicazione di un’aliquota ridotta sul flusso annuale degli utili trattenuti nell’impresa e reinvestiti. Sono cose assolutamente diverse. Quindi l’errore bestiale e incomprensibile resta. Capitalizzazione e investimenti d’impresa dovrebbero rappresentare agli occhi della politica l’autostrada da percorrere per uscire dal male  della nostra economia. L’Italia è malata di effetto Baumol, dal nome del grande economista – William Baumol – che lo studiò negli anni Sessanta del Novecento. Abbiamo bassa produttività – malgrado quella elevata del manifatturiero – perché continuiamo a concentrare occupazione in settori an basso valore aggiunto, intensità di capitali e conoscenza, e ciò crea 0bassi redditi da lavoro e ancor più bassa produttività. Anche oggi, in Italia, si brinda ad aumenti di occupazione maggiori in percentuale della crescita del pil, e dovuti al concorso di settori a bassa qualità del lavoro. Aumenti di occupazione che sono continuati in questo 2023 anche in presenza di una discesa delle ore lavorate, e chiunque può capire quale sia l’effetto della produttività. O si riuscirà a far capire a sindacato e politica che questa strada – compresa l’abrogazione dell’ACE – porta solo a bassa crescita e lavoro povero, oppure non ne usciremo.

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